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Il prete come un oste

Pubblicato su “la Vita Cattolica” nr. 20/2023

Permettendomi una licenza immaginifica, se dovessi pensare ad una metafora per indicare chi è il prete diocesano lo identificherei nell’«oste di una locanda». Il suo compito principale è l’ospitalità. Così, il sacerdote non può prescindere dall’essere ospitale nei confronti di Dio e dei fratelli. Il suo cuore, cioè tutta la sua vita, fa spazio all’altro trovando la ragione del proprio esistere: l’Altro con la “A” maiuscola e l’altro con la “a” minuscola, Dio e le persone a cui è inviato. D’altronde questa è la sua specifica natura esistenziale: essere uomo di relazione. Più si lascia infiammare dall’Amore travolgente di Cristo, più riuscirà a riversare questo Amore nel cuore di chi incontra. In ogni situazione: nella gioia e nella sofferenza, mettendosi al servizio dell’altro con l’olio della consolazione e il vino della speranza. È un po’ come quell’albergatore del Vangelo del «buon samaritano» che silenziosamente, ma operosamente, si prende cura dell’uomo aggredito sulla strada da Gerusalemme a Gerico, fino al ritorno di Colui che gliel’ha affidato.

L’oste impara a conoscere i nomi e i volti di coloro che frequentano la locanda, aggancia le loro vite alla sua per il tempo necessario alla sosta e se arriva qualcuno di nuovo, si adopera con ogni mezzo e attenzione per essere accogliente e suscitare il desiderio di ritornare. Per fare contento il padrone della locanda spesso esce sulla strada per provvedere anche a quelli che si vergognano di entrare perché troppo sporchi, troppo poveri o perché non conoscono la lingua per farsi capire. Così il sacerdote impara a conoscere le persone che gli vengono affidate: persone singole e gruppi, bambini e adulti, giovani e anziani, ricchi e poveri, locali e stranieri. Più accoglie tutte queste persone con gioia ed entusiasmo, più esse saranno contente di vivere un’esperienza comunitaria e radicarsi in essa. Ciascuno con la propria storia di cui farsi carico e nella quale riconoscere quel germe di eternità affidato direttamente da Dio al cuore delle persone, per aiutarlo a crescere e portare frutti. Se l’oste conosce bene il menù della locanda, anche il sacerdote sa bene cosa può offrire la Chiesa al mondo: la persona di Cristo stesso ripresentato nel Vangelo e nei Sacramenti come segni di infinito nella vita presente, fili d’oro di Paradiso che si intrecciano nell’ordito della vita di ogni uomo. È la veste sacramentale della quale il sacerdote si riveste nella grazia e, totalmente «eucaristizzato» si fa “tutto dono”, proprio come lo è stato Gesù sulla croce per la salvezza del mondo. In tutto questo c’è una sorta di “ridondanza del dono”: colui che accoglie il dono risponde a Colui dal quale l’ha ricevuto, offrendolo a sua volta ad altri. È un menù decisamente appetitoso e gradevole al palato, che sazia tutti coloro che sostano e vi si presentano. Locanda che l’oste conosce decisamente bene e nella quale presta continuamente il suo servizio: ne individua le risorse e i limiti, gli spazi accoglienti e gli angoli impolverati o che sarebbero da rimettere a posto. Allo stesso modo il sacerdote conosce bene la Chiesa e ne è un innamorato. Sa che non è sua, eppure è casa sua; vive di fraternità con coloro che si sono messi al servizio come lui (i sacerdoti che formano il presbiterio insieme con il Vescovo, ma anche tutte le altre porzioni di Popolo di Dio); sa che è Santa e peccatrice perché fatta di uomini e donne in carne ed ossa, con le loro incoerenze e fragilità. Ma non per questo desiste: anzi le fa intonare il Magnificat per la sua santità, ma canta anche il Miserere per i peccati commessi.

Ecco allora chi è il sacerdote diocesano: un uomo gioioso che vive di relazioni fraterne e sa bene dov’è il suo Centro, cui continuamente dev’essere orientato per poterlo indicare agli altri. Mancano pochi giorni e ancora una volta si celebrerà una nuova meraviglia: il Signore che chiama farà risuonare nella risposta umana l’Eccomi di tutta una vita. Ne sentiremo l’eco, la cui origine è in realtà lontana nel tempo duemila anni. Domenica pomeriggio in Cattedrale a Udine Emanuele Paravano verrà consacrato sacerdote (ne parliamo ampiamente a p. 3). Si tratta di un evento speciale, che ha il sapore del cielo e il profumo dell’eternità inaugurata con il Battesimo: tutte le volte in cui si celebra il «sì» definitivo ad una vocazione specifica, compresa quella all’Ordine sacro, esso diventa infatti il compimento della promessa battesimale, che si realizza nel cammino sulle orme di Cristo, lungo il quale il cuore impara a pulsare dei suoi stessi sentimenti di amore. E allora: auguri Emanuele e auguri alla Chiesa di Udine. Tu possa essere un oste sempre ospitale in quella locanda speciale che è la Chiesa. A noi tutti l’impegno di una preghiera incessante per nuove vocazioni sacerdotali.

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