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Vocazioni, osare di più!

Pubblicato su “la Vita Cattolica” nr. 45/2022

«Don, cosa vuol dire che il Signore ti chiama? Che significa il termine vocazione? Come hai fatto a capire che questa è la tua strada? Cos’è il Seminario e cosa si fa tutto il giorno?». Entrato in seminario da giovane venticinquenne e ancor più in questi undici anni di sacerdozio, la maggior parte delle volte, incontrando gruppi di bambini, ragazzi e giovani, mi è capitato di dover rispondere a questi interrogativi. Solo in apparenza si tratta di domande semplici, perché in realtà esse aprono a squarci fondanti lo sviluppo della persona alla luce della fede.

Diciamolo con sano realismo: di vocazione se ne parla sempre meno, in famiglia e nelle nostre comunità cristiane. Credo che questo accada vuoi perché il tema è “retrò” o troppo da “specialisti”, oppure perché negli anni l’abbiamo ridotto ad un senso molto stretto, rimandandolo solo alla vocazione di preti e suore. Certo che c’è anche questa accezione, ma non è l’unica. Non è forse vero che tutti, indistintamente, siamo chiamati al dono di sé, ad essere cristiani che vivono pienamente il proprio Battesimo, a servire gli altri, a donare la propria vita “per” qualcuno? Ciascuno ha la propria di vocazione, ne va della propria felicità. Solo a partire da questo annuncio i bambini e i giovani si lasciano interrogare sul proprio futuro con serenità e gioia. Per questo la domanda che San Francesco si è posto nella preghiera rimane ancora oggi attuale: «Cosa vuoi che io faccia, o Signore?» (Fonti Francescane, 587). Intuire la chiamata che Dio fa a ciascuno, scoprirla e aprirsi ad essa non è una risposta scontata, ha bisogno dell’aiuto di molti ambienti e di tante persone per fiorire. Occorrono famiglie generative, comunità cristiane creative e vivaci, adulti attenti a riconoscerne i segni, educatori capaci di mettersi al fianco delle nuove generazioni con libertà. E che, con coraggio e nel rispetto della libertà di ognuno, “aprono” ai ragazzi orizzonti ampi. È il lavoro di molte mani e di molti cuori che si prendono cura vicendevolmente della vocazione altrui, intessendo quel dialogo di stima e di ascolto che è terreno fecondo per la semina del Vangelo.

Quando i giovani entrano in seminario hanno già dato una prima risposta alla chiamata, portando con sé esperienze passate, gioie e paure, speranze e desideri futuri. Nel loro cammino ci sono già state famiglie, persone singole, comunità cristiane che li hanno aiutati ad interrogarsi, ad aprire il campo all’azione di Dio. Non sono già arrivati al “per sempre”, hanno solo scorto la meta. I sette anni di seminario sono il tempo del “setaccio” alla luce del rapporto con il Signore per capire se davvero questa è la strada per un’esistenza adulta, piena e realizzata. La vita comune fatta di preghiera, studio, servizio e condivisione diventano un vero e proprio «laboratorio artigianale di discernimento». Il Seminario, infatti, è il luogo educativo che accompagna chi lo frequenta a scorgere in profondità la propria vocazione, in vista di un sì fedele al Signore nel sacerdozio ministeriale.

Quest’anno sono ventotto i giovani che vivono l’esperienza del Seminario, provenienti da ambienti, culture e storie di vita completamente diversi. Diciotto seminaristi appartengono alla nostra Arcidiocesi udinese, otto di questi sono entrati in prima teologia, mentre al propedeutico purtroppo non è entrato nessun giovane. La giornata del Seminario che si celebra nella nostra Arcidiocesi ogni anno nell’ultimo giorno dell’anno liturgico, desidera accompagnare spiritualmente e sostenere questi nostri cari giovani, affinché possano maturare in umanità, crescendo nello Spirito e secondo l’intelletto della Chiesa, in vista della missione “con e per” il popolo di Dio.

Ma questo appuntamento annuale può diventare l’occasione per dischiudere ai giovani delle nostre comunità le domande di senso più profonde sulla propria esistenza. I nostri ragazzi hanno bisogno di essere rispettati nella loro libertà, ma contemporaneamente hanno bisogno di essere interpellati e accompagnati a vivere un progetto di vita basato sulla Roccia che è Cristo. Anche la Giornata Mondiale della Gioventù che si celebra questa domenica, concomitante in tutte le Chiese particolari del mondo, può diventare un’occasione feconda.

L’invito è ad osare di più! Poniamo gli interrogativi vocazionali in senso ampio ai nostri giovani, facciamolo in tutti gli ambienti, in famiglia e in parrocchia, parliamo della bellezza della vita sponsale, consacrata e sacerdotale, indichiamo testimoni felici e realizzati, preghiamo per essi. Solo così facendo continueremo ad avere dei cristiani adulti ancorati sulla regalità del dono di sé mostrata da Gesù sul trono della Croce. E anche i germi di nuove vocazioni sacerdotali non stenteranno a mancare.

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