Don Zanello e don Geretti, in duomo a Tolmezzo durante il “Fioretto”, ringraziano il ragazzo e ammoniscono i friulani: “Adesso non permettetevi di giudicare”
“I profughi? Non permettetevi…”. Alza la voce, in duomo di Tolmezzo, l’arciprete mons. Angelo Zanello. Una brevissima pausa e poi riprende, rivolto ai numerosi fedeli del Rosario mariano. “Non permettetevi di dire una parola contro, ma amateli come fossero i vostri figli, i vostri fratelli”. Perché il monsignore, si sono chiesti in molti, è così arrabbiato? Poche ore prima, a Cercivento, don Angelo e don Alessio Geretti avevano abbracciato, fino alle lacrime Arjan.
Chi è Arjan? È quel ragazzo di 17 anni che nella notte tra venerdì e sabato scorsi, alla comunità del Bosco di Museis, si è gettato nel fuoco per salvare Loris, un giovane trentenne di Tolmezzo, in sofferenza psichica, che in quelle ore avrebbe dovuto trovarsi nella camera che stava bruciando. E che, invece, dormiva altrove. “Perché l’ho fatto? Perché – ha spiegato Arjan ai due sacerdoti – ho visto gli uomini dell’Isis bruciare la mia casa e sono rimasto sconvolto. Un dramma che mi porterò dentro per tutta la vita. Non riuscirò mai a dimenticare quelle fiamme. Hanno distrutto la vita mia e della mia famiglia”.
Arjan – ricordiamolo di nuovo, ha solo 16 anni – è turco, ma di nazionalità curda. Suo padre combatte nel Pkk, il partito dei lavoratori del Kurdistan. Per salvarsi è dovuto scappare, attraverso monti e mari. L’ha accolto Renato Garibaldi, insieme ad altri 40 minori, a Cercivento.
“Quella notte – racconta Renato – Arjan s’è fiondato al piano superiore del capannone, dove il fuoco stava divorando il piccolo alloggio in cui viveva Loris, temendo che il nostro amico fosse all’interno; e se lo fosse stato sarebbe sicuramente morto. Siamo andati a rincorrerlo e siamo riusciti a trascinarlo giù. Ma Arjan non ha desistito, è corso di nuovo di sopra. E, purtroppo, è rimasto intossicato dal fumo. Non solo, ha riportato anche delle ustioni alle gambe. Ci siamo chiesti, immediatamente, il motivo di tanta ostinazione. E proprio in presenza di don Angelo e di don Alessio siamo venuti a conoscere la ragione”.
C’è stata una generale commozione quando Arjan ha raccontato la verità. Ed ha confessato che le bruciature alla gamba lo fanno impazzire dal dolore. Dopo poche ore, i sacerdoti di Tolmezzo avevano il “Fioretto”, la recita del Rosario in Duomo. Ed ecco la reazione di Zanello. “Non permettetevi più di dire una sola parola verso questi amici, tanto meno di dare giudizi nei loro confronti. Sono persone che hanno attraversato montagna, deserti, il mare per cercare finalmente la libertà. Vi ripeto, non permettetevi più di dire una sola parola. Permettiamoci, invece, di amarli”.
Attoniti i fedeli, nell’ascolto di questa perorazione, anzi di questo monito. Nei loro occhi le immagini non di Arjan, ma del 562 salvati dalla Marina in mare, delle 5 salme portate a bordo della nave. “Lasciamo stare – ha insistito mons. Zanello – gli aspetti di ordine politico, che pure sono importanti perché riguardano anche la sicurezza. C’è chi è deputato a trovare le migliori soluzioni. A noi spetta, invece, di guardarle in faccia, queste persone. Ho fissato i miei occhi negli occhi di Arjan e mi sono commosso, fino alle lacrime. Sarebbe accaduto anche a voi. Arjan non ha esitato a gettarsi nel fuoco per salvare non un suo, ma un nostro connazionale, Loris. Sapete chi è? Non lo conosciamo nemmeno, ma è un giovane qui di Tolmezzo. Un giovane dalla vita difficile, vittima di una sofferenza psichica indicibile”. Loris è assistito dal Centro di salute mentale di Tolmezzo. Il Csm lo ha affidato alla comunità di Garibaldi. E Renato, per cercare di fargli apprezzare un po’ di autonomia gli aveva affidato un micro appartamento, al piano del capannone è stato gravemente danneggiato dalle fiamme.
“Arjan ha rischiato la vita per venire in soccorso a Loris. Ha messo in gioco se stesso. E noi neppure lo conosciamo, questo Loris. Ecco perché dico che se anche voi avreste fissato negli occhi Arjan vi sareste commossi come è capitato a me e a don Alessio. Nei suoi occhi avreste riconosciuto quelli dei vostri figli, dei vostri fratelli e sorelle. E sareste orgogliosi, come lo siamo noi per Arjan, se vi dicessero che vostro figlio ha rischiato di morire pur di salvare una persona. Pensiamo, cari amici, al padre, alla madre, ai fratelli di Arjan. Pensiamo a tutti gli altri profughi, specie bambini, come i tanti salvati ieri nel mare di Lampedusa, fissiamoli in volto e… non giudichiamoli, ma rispettiamoli, possibilmente amiamoli”. “Non saremmo forse onorati se avessimo un figlio come Arjan?”. Ovvia la commozione che ha attraversato il duomo di Tolmezzo, sotto lo sguardo sorridente della Madonna appena celebrata nella preghiera. I fatti, quassù in Carnia, arrivano prima delle parole. Con l’ospitalità a decine, anzi a centinaia di profughi, Con i due scampati dalle guerre e dalla violenza che fanno da guida alla Mostra di Illegio.
Con la signora Irene di Tarvisio che prepara da mangiare ai “rintracciati” sul confine, per conto della Caritas. Con quel signore di Tarvisio che ha affidato alla Caritas un proprio appartamento, senza timori di sorta, per ospitare i malcapitati. Renato Garibaldi, intanto, ai suoi ragazzi cerca di spiegare perché alla violenza, forse inconsulta, bisogna rispondere con il perdono. “Anche a coloro – e sono troppi – che ci hanno insultato perché… stiamo facendo i soldi. Ma quali?”.
Don Harry Della Pietra, il parroco, ha portato a Renato e alla Comunità la vicinanza dell’arcivescovo mons. Andrea Bruno Mazzocato. E lo stesso don Harry ha assicurato la vicinanza della comunità quando è stato in visita dai ragazzi di Garibaldi con il sindaco Luca Boschetti ed il prefetto Vincenzo Zappalorto. Oltre a don Zanello e don Geretti, fin dalle prime ore si sono fatti presenti i fratelli Dipiazza, con don Pierluigi ad assicurare: “Caro Renato, se hai bisogno, noi ci siamo”. “I ragazzi ringraziano tutti. E sapranno essere riconoscenti”, conferma Garibaldi. Don Angelo, di rimando: “Qui i ragazzi non sono solo accolti, ma vanno a scuola regolarmente di italiano, di mestieri, di agricoltura, apicultura e allevamento animali da cortile. Grazie a loro e grazie all’équipe di animatori, psicologi etc. per seguire i ragazzi; è una grande famiglia. Condividere o meno l’opera di Renato è legittimo, ma innegabilmente è alla don Emilio De Roia o don Tarcisio Bordignon o altri di questo stesso cuore”.
Straordinaria testimonianza di solidarietà al Bosco di Museis