Il quesito referendario mira ad abrogare quelle norme che rendono automatica la proroga delle concessioni relative all’estrazione di idrocarburi nei nostri mari fino all’esaurimento dei relativi giacimenti. In effetti, perché non orientarci all’efficienza energetica e alle fonti rinnovabili, in vista di un futuro equo e sostenibile per il pianeta?
Un referendum è sempre un momento importante per riflettere e contribuire alle decisioni su temi importanti per la convivenza civile; non va mai sottovalutata la rilevanza della partecipazione su temi che interessano il bene comune. Domenica 17 aprile (si potrà andare a votare fino alle ore 23; perché il referendum sia valido, deve recarsi alle urne il 50 per cento, più uno, degli elettori), l’Italia è chiamata al voto su quesiti che – aldilà dell’oggetto specifico del quesito, relativamente tecnico – coinvolgono questioni di notevole spessore. Non a caso, diversi soggetti ecclesiali – di recente anche mons. Giovanni Ricchiuti, presidente nazionale di Pax Christi – sono intervenuti, per invitare ad una riflessione attenta su un tema che ha a che fare con la «cura della casa comune». Certo, va riconosciuto che l’unico quesito sottoposto a consultazione ha una portata limitata: un eventuale vittoria del Si non avrebbe impatti immediati sulle estrazioni di idrocarburi nei nostri mari, ma porrebbe solo limiti al futuro delle relative concessioni. E tuttavia è chiaro che gli elettori hanno un’occasione importante per esprimersi circa il futuro energetico ed ambientale del Paese.
Il tema del mutamento climatico
Non è questione da poco, specie se ricordiamo le decisioni moralmente impegnative assunte dal governo italiano alla Cop 21 di dicembre 2015. Nella Conferenza di Parigi l’Italia si è impegnata con gli altri partner della comunità internazionale in una vera alleanza per il clima. Si tratta di orientarsi ad una drastica riduzione di quelle emissioni dei gas climalteranti, che si devono in buona parte ad un’economia centrata su fonti fossili. È un’assunzione di responsabilità nei confronti dello stato del pianeta e delle generazioni future, che del degrado climatico si troveranno a sopportare le conseguenze più gravi. Non a caso, in tale direzione guarda anche papa Francesco che nell’Enciclica «Laudato Si’» ha innalzato un forte appello per una mitigazione del riscaldamento globale: è a rischio l’abitabilità della terra donataci e a pagarne le conseguenze sarebbero in primo luogo i poveri.
Il quesito referendario
Il quesito referendario mira ad abrogare quelle norme che rendono automatica la proroga delle concessioni relative all’estrazione di idrocarburi nei nostri mari fino all’esaurimento dei relativi giacimenti. In effetti, perché dovremmo legarci all’estrazione di combustibili fossili, restando all’interno di una logica vecchia, impegnata a sfruttare una forma energetica ormai superata e pesantemente inquinante sia a livello locale che globale? Perché non orientarci piuttosto – secondo gli orientamenti della Cop 21 – all’efficienza energetica e alle fonti rinnovabili, in vista di un futuro equo e sostenibile per il pianeta? Dobbiamo convincerci che solo con scelte forti in tal senso possiamo davvero sperare di contenere l’incremento della temperatura media del pianeta.
Interrogativi tecnici
Ma vi sono anche altre questioni legate al problema, che evidenziano il rischio associato a tecniche di prelievo potenzialmente pericolose per l’ambiente locale. Non sono certo casuali le perplessità espresse anche da tante realtà del mondo cattolico sulle trivellazioni oggetto del quesito referendario. In esse, infatti, l’economia fossile trova una realizzazione caratterizzata da tecniche potenzialmente impattanti per un’economia dei territori che genera occupazione e che ha nella qualità il proprio punto di forza. Perché mettere, allora, a rischio tali realtà con opzioni di politica energetica di modesta portata quanto ai risultati attesi, ma decisamente problematiche quanto ai rischi di deterioramento? Non è forse più morale, più saggio, più lungimirante custodire la fragile bellezza degli ecosistemi, sapendo che il loro grande valore ha – tra le molte dimensioni che lo caratterizzano – anche quella economica? Deve essere chiaro che qui non è tanto in gioco una semplicistica contrapposizione tra lavoro ed ambiente, quanto piuttosto una scelta tra diversi modelli di sviluppo, tra diversi orientamenti della vita economica.
Tante questioni, livelli di analisi e di riflessioni differenti, quasi a testimoniare come il referendum del 17 aprile – pur nella complessità di un quesito abbastanza tecnico – metta in gioco questioni moralmente rilevanti, davvero meritevoli di attenzione.
Le sfide poste dal referendum di domenica 17 aprile