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L'editoriale

Il sonno dell’Europa genera mostri

di

Roberto Pensa

Dacca e Nizza: due realtà così distanti e diverse (la poverissima capitale del Bangladesh e la città scintillante della opulenta Costa Azzurra) eppure unite ora da una scia di sangue che passa anche in Friuli. Avevamo appena asciugato le lacrime per la morte degli imprenditori Cristian Rossi di Feletto Umberto e Marco Tondat di Cordovado, uccisi nella terribile strage dell’Holey Artisan Bakery nella capitale bengalese, che dalla Francia arriva la conferma che tra le 5 vittime italiane della carneficina di giovedì 14 luglio sulla nizzarda Promenade des Anglais c’è anche la friulana Gianna Muset, 68 anni, originaria di San Pier d’Isonzo e residente a Voghera (Pavia), deceduta con il marito, Angelo D’Agostino, 71 anni.

Dacca e Nizza: due realtà così distanti e diverse (la poverissima capitale del Bangladesh e la città scintillante della opulenta Costa Azzurra) eppure unite ora da una scia di sangue che passa anche in Friuli. Avevamo appena asciugato le lacrime per la morte degli imprenditori Cristian Rossi di Feletto Umberto e Marco Tondat di Cordovado, uccisi nella terribile strage dell’Holey Artisan Bakery nella capitale bengalese, che dalla Francia arriva la conferma che tra le 5 vittime italiane della carneficina di giovedì 14 luglio sulla nizzarda Promenade des Anglais c’è anche la friulana Gianna Muset, 68 anni, originaria di San Pier d’Isonzo e residente a Voghera (Pavia), deceduta con il marito, Angelo D’Agostino, 71 anni.

Stragi terribili che, oltre allo sgomento e all’orrore, suggeriscono anche una domanda fondamentale: da dove nasce tanto odio? La tentazione è di concludere che tutto questo viene da lontano: gli autori sono i fanatici fondamentalisti islamici dell’Isis e la risposta al perché va trovata a Mossul o a Raqqa, rispettivamente la capitale iraqena e siriana del Califfato. O forse non val la pena neanche di cercare alcuna risposta a tanta ferocia, basterà abbattere lo Stato Islamico e tutto tornerà a posto.

Ma proprio le indagini in corso su Mohamed Lahouaiej Bouhlel, l’attentatore solitario che con un camion bianco ha seminato il terrore sul lungomare di Nizza, dovrebbero ispirare un pò di inquietudine e suggerirci che, forse, il problema, nasce molto più vicino a noi.

Bouhlel, infatti, non solo non era un fondamentalista, ma aveva comportamenti molto lontani anche da quelli richiesti ad un buon musulmano: beveva alcolici, mangiava carne di maiale, e la procura di Nizza riferisce di «una vita sessuale sfrenata». Un depresso, manesco, con una attività lavorativa discontinua e problematica. Insomma un uomo che viveva nel vuoto pneumatico di una vita senza più alcun riferimento di valori e la cui frustrazione ha trovato uno sbocco, in appena 10 giorni, nell’incontro con ambienti del radicalismo islamico.

Il profilo di Bouhlel non sembra molto dissimile da quello di Salah Abdeslam, l’unico attentatore di Parigi rimasto vivo e arrestato a Bruxelles: una vita senza alcun riferimento (neanche religioso), coinvolto nel jihadismo dall’amico di infanzia Abdelhamid Abaaoud. O come i due killer dell’attacco a Parigi alla sede del settimanale satirico francese Charlie Hebdo, i fratelli Said e Cherif Kouachi. I due, jihadisti franco-algerini di 32 e 34 anni, una vita di piccola criminalità, un vuoto trasformato dall’incontro con i reclutatori siriani dell’Isis.

Insomma, il tessuto sociale e culturale di una Europa incapace di offrire valori di fondo e orientamenti culturali ai suoi giovani (siano essi nati sul suolo europeo o immigrati) risulta un tessuto di coltura per il fondamentalismo ancor più fertile che quello del Medio Oriente. Nelle storie dei «foreign fighters», il fattore valoriale appare molto più determinante della povertà economica o dell’emarginazione sociale stessa.

Molto diverso invece il profilo degli attentatori di Dacca: giovani, colti, con un buon percorso di studi, appartenenti alla classe media del paese e tutti rigorosament bengalesi. La loro adesione al fondamentalismo appare molto più intellettuale, ideologica, una sorta di ribellione a quella che viene vissuta come una una colonizzazione culturale ed economica da parte dell’Occidente. Il Bangladesh è infatti uno dei crocevia economici della globalizzazione in alcuni settori ad alta intensità di lavoro, avendo una popolazione in rapido aumento e salari bassissimi. Anche qui, forse, emerge un possibile ruolo per l’Europa nel contrastare il jihadismo con una maggiore presenza unitaria in politica estera. Da dove, se non dal Vecchio Continente, può venire un atteggiamento più pragmatico e meno schematico nelle situazioni più spinose dei conflitti dove sono coinvolte diversità religiose, etniche e forti disparità sociali? L’Europa, con la sua storia e la sua cultura che questi problemi li ha affrontati e in parte risolti nei secoli, ha sicuramente più strumenti di altre potenze che non hanno questa sensibilità (come ad esempio gli Usa, la Russia e la Cina).

Riecheggiano le parole pronunciate da Papa Francesco ricevendo il Premio Carlo Magno del Parlamento Europeo: «Da diverse parti cresce l’impressione generale di un’Europa stanca e invecchiata, non fertile e vitale, dove i grandi ideali che hanno ispirato l’Europa sembrano aver perso forza attrattiva; un’Europa decaduta che sembra abbia perso la sua capacità generatrice e creatrice. Un’Europa tentata di voler assicurare e dominare spazi più che generare processi di inclusione e trasformazione; un’Europa che si va “trincerando” invece di privilegiare azioni che promuovano nuovi dinamismi nella società; dinamismi capaci di coinvolgere e mettere in movimento tutti gli attori sociali (gruppi e persone) nella ricerca di nuove soluzioni ai problemi attuali, che portino frutto in importanti avvenimenti storici; un’Europa che lungi dal proteggere spazi si renda madre generatrice di processi. Che cosa ti è successo, Europa umanistica, paladina dei diritti dell’uomo, della democrazia e della libertà? Che cosa ti è successo, Europa terra di poeti, filosofi, artisti, musicisti, letterati? Che cosa ti è successo, Europa madre di popoli e nazioni, madre di grandi uomini e donne che hanno saputo difendere e dare la vita per la dignità dei loro fratelli?».

La tentazione potrebbe essere quella di limitarsi ad accusare la politica, per la sua incapacità ad affrontare i problemi della sicurezza, dell’economia, dell’equità sociale, dell’immigrazione. Ancora Papa Francesco chiarisce nel suo discorso che tutti hanno in mano un pezzo del problema: «Il dialogo e tutto ciò che esso comporta ci ricorda che nessuno può limitarsi ad essere spettatore né mero osservatore. Tutti, dal più piccolo al più grande, sono parte attiva nella costruzione di una società integrata e riconciliata. Questa cultura è possibile se tutti partecipiamo alla sua elaborazione e costruzione. La situazione attuale non ammette meri osservatori di lotte altrui. Al contrario, è un forte appello alla responsabilità personale e sociale».

Tanto più in questa estate in cui anche alcune realtà del Friuli (in special modo Udine) sono interessate dall’incessante flusso di profughi, spesso provenienti da Paesi musulmani. Ciascuno deve chiedersi se prevale in lui la tentazione di trincerarsi nella paura, di esorcizzare questo fenomeno rifiutandolo o facendo finta che non esista, oppure se è più forte lo spirito di solidarietà umana, la voglia di incontrare, di capire quello che succede qui da noi e là da loro (e gli ha spinti a partire…)? La lotta al fondamentalismo comincia anche da qui, risvegliando valori antichi, eppure così nuovi ed attuali.

Roberto Pensa

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