Dal Vangelo secondo Marco (Mc 1,40-45)
In quel tempo, venne da Gesù un lebbroso, che lo supplicava in ginocchio e gli diceva: «Se vuoi, puoi purificarmi!». Ne ebbe compassione, tese la mano, lo toccò e gli disse: «Lo voglio, sii purificato!». E subito la lebbra scomparve da lui ed egli fu purificato. E, ammonendolo severamente, lo cacciò via subito e gli disse: «Guarda di non dire niente a nessuno; va’, invece, a mostrarti al sacerdote e offri per la tua purificazione quello che Mosè ha prescritto, come testimonianza per loro».
Ma quello si allontanò e si mise a proclamare e a divulgare il fatto, tanto che Gesù non poteva più entrare pubblicamente in una città, ma rimaneva fuori, in luoghi deserti; e venivano a lui da ogni parte.
Parola del Signore.
Commento al Vangelo dell’11 febbraio, VI Domenica del Tempo ordinario (Anno B)
A cura di don Emanuele Paravano
Domenica scorsa abbiamo ascoltato l’episodio della guarigione della suocera di Pietro e di quella di molti altri sofferenti da parte di Gesù. Dopo aver risanato tutto il paese fino a tarda notte, Gesù si alza al mattino presto per andare in un luogo deserto e ritirarsi in preghiera. Simon Pietro, non vedendolo in casa, si mette sulle sue tracce e, quando lo trova, gli dice che tutti lo stanno cercando. Gesù avrebbe potuto rimanere in quel villaggio e ricevere, così, i consensi che aveva suscitato la sua opera miracolosa, invece, decide di partire di nuovo per predicare anche in altri paesi.
Diretta conseguenza dell’atteggiamento missionario di Gesù è il racconto di questa domenica: un lebbroso può andare da Gesù perché Egli, per primo, sta camminando incontro a ogni persona, senza distinzione alcuna. La condizione del lebbroso di quel tempo è doppiamente penosa perché si sente colpito da Dio – la lebbra è considerata un’impurità – e poi separato dagli uomini – perché deve stare fuori dall’accampamento –; questa solitudine è per lui più dolorosa della malattia stessa. Di solito un malato è oggetto di cure e attenzioni particolari, nel caso della lebbra, invece, il malato viene addirittura allontanato dal mondo di relazioni e affetti in cui è inserito, perché impuro dal punto di vista religioso. È per questo motivo che il lebbroso chiede di essere “purificato” e non “guarito”, perché non è più degno di appartenere al clan, la sua persona viene “scartata”.
Per Papa Francesco, uno dei fenomeni più drammatici della cultura odierna è proprio la cultura dello scarto: la società umana tende a mettere da parte tutto quello che non risponde ai criteri di efficienza, produttività, reattività, ma anche di bellezza, giovinezza, forza e vivacità. Il lebbroso in questione, però, ha una fiducia totale in Gesù, infatti dice: “Se vuoi, tu puoi” e diventa, così, testimone di fede.
Gesù non rimane indifferente rispetto alla sofferenza, ma prova compassione, sente il male come fosse suo e trasgredisce ogni regola sociale pur di toccare quel corpo piagato e portare vita. Il gesto di Gesù segue il sentimento che lo abita e ci insegna, così, a vivere in armonia con tutte le nostre dimensioni, perché non accada che mente, cuore e corpo siano su tre frequenze diverse, così da vivere disgregati in noi stessi. In questo caso non è il lebbroso che contagia Gesù e lo fa diventare impuro, ma è Gesù che contagia il lebbroso con la sua santità.
Dopo la guarigione, però, emerge una forte tensione nella narrazione e Gesù ammonisce in modo severo l’uomo guarito. Perché succede tutto questo? Gesù gli aveva chiesto di presentarsi dal sacerdote per essere ristabilito nella socialità, invece il lebbroso vuole dare testimonianza a suo modo e agisce d’istinto disobbedendo al Maestro. Questa sordità al vero Bene comprometterà il ministero di Gesù che, visto solo come un grande taumaturgo, non riuscirà a portare il Vangelo e l’appello alla conversione nelle città e villaggi vicini.
Il lebbroso non riesce a vedere oltre i propri bisogni; è guarito, ma rimane sordo alle esigenze del Vangelo.
La nostra vita sia sempre guidata da quella compassione che Gesù prova verso ognuno di noi, così da poter chiedere: “Ispira le nostre azioni, Signore, e accompagnale con il tuo aiuto, perché ogni nostro nostro parlare ed agire abbia sempre da te il suo inizio e in te il suo compimento”.
don Emanuele Paravano