La parità di genere al lavoro è ancora lontana. Lo rilevano Cgil, Cisl e Uil che in occasione della Giornata internazionale della donna fanno il punto sulla condizione femminile nel mondo del lavoro, rilevando che le donne sono ancora “discriminate nel lavoro e nella società”.
Secondo i dati diffusi, anche in una regione come il Friuli-Venezia Giulia, caratterizzata da un tasso di occupazione femminile pari al 62,1%, dieci punti in più rispetto alla media nazionale, il 36% delle donne con contratto da dipendente ha un incarico part-time, contro il 7% dei colleghi maschi. Il 17,8% ha un contratto a termine, contro il 13,4% degli uomini, e in generale percepisce un reddito medio lordo inferiore di circa 10mila euro rispetto a quello degli uomini.
In Italia – osservano ancora i sindacati – una donna su 5 è tuttora costretta ad abbandonare il mercato del lavoro a seguito della maternità, in primis a causa della carenza di servizi alle famiglie o dal costo di asili nido e babysitter, a fronte di paghe troppo spesso basse.
A penalizzare le donne, oltre alla carenza di servizi, anche una distribuzione tuttora dispari dei carichi familiari tra madri e padri. Non a caso, come rimarcano le responsabili pari opportunità di Cgil, Cisl e Uil regionali, Daniela Duz, Alessia Cisorio e Magda Gruarin, in molti casi il part-time delle donne è involontario o forzato da esigenze di carattere familiare. Una situazione che determina una segregazione, sia orizzontale che verticale, in mansioni meno retribuite e in settori contrattualmente più “poveri”, dai servizi al lavoro di cura, mentre sono solo il 18% i ruoli dirigenziali appannaggio delle donne. Ne deriva un gap retributivo che nel privato supera gli 8mila euro annui in Italia e sfiora i 10mila in Friuli-Venezia Giulia, riflettendosi ovviamente anche sui trattamenti pensionistici e riducendo fortemente le prospettive di indipendenza delle donne, più ricattabili sia nel lavoro che nella vita di tutti i giorni.
Da qui alcune proposte portate avanti dal sindacato anche sul fronte della conciliazione, dall’innalzamento della durata dei congedi di paternità, sul modello dei Paesi europei più avanzati all’introduzione di strumenti che incentivino la partecipazione delle donne al lavoro, come le certificazioni di genere, fino all’introduzione di nuovi strumenti e incentivi, anche a livello di contrattazione integrativa, che favoriscano una maggiore condivisione dei carichi familiari tra lavoratori e lavoratrici.
Stop a violenza e molestie
Riflesso delle discriminazioni sul lavoro una condizione subalterna e più fragile anche nella vita di tutti i giorni. Questo l’humus che continua ad alimentare piaghe sociali come la violenza di genere, anche nella sua espressione più tragica, quella dei femminicidi, o le molestie dentro e fuori dal posto di lavoro. «Piaghe che vanno debellate – dichiarano Duz, Cisorio e Gruarin – attraverso misure strutturali e a tutto campo capaci di contrastare la cultura patriarcale e sessista che pervade trasversalmente il tessuto sociale: bene che se ne occupi la scuola, ma è necessario anche supportare le famiglie, le imprese e i datori di lavoro pubblici e privati nell’educazione al rispetto e nel contrasto alle discriminazioni».