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Luci tra le sbarre

Una “dolce” fiducia

Testimonianza dal carcere di Udine

Credo che quasi tutti i cappellani che operano e offrono il loro servizio negli istituti detentivi in Italia (ma non solo) sarebbero concordi nell’affermare che tra i momenti più belli ci sono senz’altro quelli dedicati ai colloqui personali, che siano questi semplici colloqui o confessioni. Quando incontro un ragazzo per la prima volta ho notato che non c’è mai imbarazzo, tutto è subito molto diretto e non ci si perde in schermaglie o giochi di silenzi. C’è molta emozione, quello sì, perché si tratta di un incontro libero e senza pregiudizi. Mi capita anzi spesso di sottolineare, nel caso ci sia giusto un timido imbarazzo inziale, che io non sono un magistrato, un avvocato, un agente, un giudice, un educatore, uno psicologo… Siamo lì insieme uno per ascoltare l’altro. E questo accade, ci si ascolta davvero a vicenda, chissà, forse complice anche il fatto che non ci sono telefoni cellulari a distrarci, e questo la dice lunga su ciò che accade fuori dal carcere, nella vita “normale”.

I colloqui sono di solito dei momenti in cui si racconta la propria vita, a volte delle ultime cose successe altre volte della vita intera, magari narrata a tappe, oppure a cerchi concentrici dove al primo incontro ne seguono molti altri (il tempo in carcere non manca…) e ci si allarga partendo dalle cose immediate per arrivare a toccare i punti nevralgici, forse proprio quelli che più hanno ferito il cuore e l’intimità fino a portare a vivere un pezzo della propria vita “dietro le sbarre”. Intendiamoci… non è sempre tutto così profondo! A volte ci si ferma a conversazioni più semplici e tutto è molto più essenziale.

Con L. riguardo a questo piccolo cammino interiore, anche di fede, le cose sono andate proprio così: poco alla volta con sincerità ci si è raccontati. Quello che è avvenuto con lui, lo definisco “la svolta del Kit Kat”, dal nome del famoso dolcetto (che negli anni ’80, quando ero bambino e adolescente, era più grande e buono di oggi!). Avevo confidato a L. che sono goloso, così lui ha pensato bene ad un certo punto di portarmi ad ogni colloquio quella che chiamo simpaticamente la “tangente”! È stato il suo modo di dirmi grazie perché ci siamo ascoltati. Da quando è avvenuta “la svolta del Kit Kat” è iniziato un percorso di fiducia bello e profondo. Io accetto, apprezzo e faccio merenda… rifocillandomi nei pomeriggi dedicati ad ascoltare chi ha bisogno di raccontarsi; a volte anche con lunghi silenzi necessari, intensi, come le narrazioni di Gesù nel Vangelo.

p. Lorenzo Durandetto
cappellano
Casa circondariale di Udine

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