La fede dei giovani nasce dentro di loro: se viene “imposta” da fuori, allora si allontanano dalla Chiesa e cercano risposte altrove. È quanto emerge, in estrema sintesi, dalla nuova ricerca intitolata “Cerco, dunque credo?” presentata lo scorso 5 aprile a Milano, all’Università Cattolica. Il 14 aprile, la “Cattolica” ha celebrato il centenario della sua fondazione in occasione della Giornata nazionale a essa dedicata. Tra le varie iniziative, ecco la pubblicazione di questa indagine, un lavoro imponente svolto con il rigore scientifico del Positive youth development, un metodo che guarda non solo alla lettura della realtà, ma anche a uno sguardo buono e costruttivo sulle potenzialità che si intravedono. Basata su 101 interviste ad altrettanti giovani di tutta Italia, la ricerca è realizzata dall’Istituto Giuseppe Toniolo di Milano in collaborazione (tra gli altri) con il Centro Studi di Spiritualità della Facoltà Teologica dell’Italia Settentrionale e la Facoltà Teologica del Triveneto.
Alcuni numeri? Nel 2013 (10 anni fa) i giovani italiani che si dichiaravano cattolici erano il 56,2%. Nel 2023 il 32,7%. Quelli che si dichiarano atei sono passati dal 15% al 31%. Drammatico, poi, è il dato dell’abbandono delle giovani donne, passate in solo una decade dal 62% al 33%.
Eppure il bianco e il nero non sono tonalità che si adattano al mondo giovanile: moltissime, infatti, sono le provocazioni lanciate dalle 240 pagine del volume, che interpellano soprattutto le comunità cristiane, le Parrocchie, le Collaborazioni pastorali. Ne abbiamo parlato con Paola Bignardi, già presidente nazionale di Azione Cattolica, ma soprattutto, in questa sede, una delle curatrici della ricerca.
Dott.ssa Bignardi, partiamo dal titolo: «Cerco, dunque credo?». Eppure il titolo originario era diverso: “Giovani in fuga dalla religione”. Da cosa fuggono realmente i giovani?
«Abbiamo cambiato il titolo perché nel corso della ricerca ci siamo resi conto che i giovani vivono un allontanamento da una Chiesa che essi percepiscono in allontanamento da loro. È un doppio distanziamento, in primis da parte della Chiesa nei confronti di molte sensibilità giovanili. Però la ricerca di spiritualità non viene meno.»
Cosa emerge in sintesi dai giovani intervistati?
«I giovani cercano un nuovo modo di credere. Una loro caratteristica può essere sintetizzata proprio con la ricerca: le risposte che trovano nella comunità cristiana infatti non li soddisfano, perché nella loro percezione non danno la possibilità di camminare verso quella pienezza di vita di cui hanno sete. Quindi cercano risposte altrove. Sono convinta che le loro considerazioni abbiano molto da dire alla Chiesa di oggi.»
Parlava di un “nuovo modo di credere”. Quindi i giovani credono ancora…
«Sì, i giovani credono ancora, ma in modo diverso rispetto al passato. È facile, quindi, che qualcuno pensi che non credono più. Per esempio non credono nella Chiesa; il loro riferimento a Gesù Cristo è molto pallido, eccetera.»
In definitiva, in cosa credono i giovani?
«Credono che ci sia un Dio che oltre che stare “al di là” sia anche dentro di loro. Questo senso della presenza di Dio, intenso, cercato e molto intimo, è la caratteristica fondamentale dei giovani, che quindi continuano a credere a una fede connotata personalmente. Ci sono anche giovani che non credono in un Dio definito, ma vivono una loro spiritualità nella ricerca di autenticità, armonia interiore, ricerca da se stessi.»
Si tratta di un approccio alla spiritualità totalmente diverso rispetto a quello “tradizionale”…
«Quella giovanile è una spiritualità molto diversa da quella del passato. Una volta si partiva dalla fede per giungere a una spiritualità personale, un modo unico di declinare la fede. Oggi invece c’è innanzitutto una ricerca di pienezza umana, ma spesso su questa strada si trova Dio. Difficilmente si giunge a Lui per delle conoscenze trasmesse da altri, ma si trova dentro di sé. Il percorso di fede, quindi, non è da Dio alla spiritualità, ma il contrario: dalla spiritualità interiore a Dio.»
Nell’agire ecclesiale e nel pensiero cristiano portato avanti dalla Chiesa ci sono dei nervi scoperti che i giovani mettono in luce nel volume. Quali sono?
«Prima di tutto lo stile della Chiesa: i giovani pensano che la Chiesa non dialoghi, sia troppo dogmatica. Questo stile non lascia spazio alle ricerche personali, infatti è uno degli elementi più contestati dai giovani, oltre alla mancanza di dialogo e di confronto. Poi ci sono altri aspetti generalmente non accettati: le proposte della Chiesa sui temi di sessualità, aborto, famiglia fondata sul matrimonio. Su questo i giovani sono piuttosto lontani».
Oltre agli aspetti (diciamo) teorici, emergono anche critiche alle Parrocchie?
«Certo! Per esempio l’astrattezza dei suoi insegnamenti, il modo freddo di celebrare, il disagio provato nel sentirsi giudicati dalla comunità, gli adulti che fanno da “filtro” rispetto alla loro presenza, giudicata marginale. Sono obiezioni che alla lunga determinano un disamore e sono molto provocatorie per la Chiesa. Ma i giovani hanno ragione: ci si trova male quando si è giudicati o quando si siede gli uni accanto agli altri in modo freddo, magari parlando di fraternità.»
Nella nostra Arcidiocesi stiamo ripensando i percorsi di Iniziazione cristiana. Alla luce di questa ricerca, che consigli offre ai nostri sacerdoti, religiose, animatori e catechisti?
«Da quel che ho capito della loro esperienza, i giovani hanno bisogno di vivere la catechesi come un’esperienza bella, che sia tale fin da ragazzi. Molti ricordano con tristezza la catechesi dell’infanzia, fatta in modo conoscitivo e con “lezioncine”. L’importante non è quindi riempire la loro testa, ma proporre loro un’esperienza bella, gioiosa, sana, in cui possano sperimentare i valori che ricordano con gratitudine, come la gioia di stare insieme, l’ascolto reciproco o il rispetto per gli altri. Questi sono valori riconosciuti dai giovani, e non è poco.»
Giovanni Lesa