Cinque giorni di incontri, testimonianze, dibattiti, “piazze aperte” alla cultura. Con al centro – anzi, al cuore – proprio la democrazia. «I contenuti emersi dalla recente Settimana Sociale di Trieste, conclusasi domenica 7 luglio, hanno richiamato l’importanza dell’impegno civico, quindi della responsabilità nell’assumere un impegno faticoso ma necessario» ha spiegato Luca Grion, direttore della Scuola di Politica ed Etica Sociale dell’Arcidiocesi di Udine, che a Trieste ha vestito i panni del relatore in due incontri legati allo sport inclusivo e all’intelligenza artificiale. «La democrazia – ha ricordato Grion – non vive solo di diritti rivendicati, ma anche di doveri di cui si accetta liberamente di portare il peso. Nelle parole del Papa si è sottolineato che la democrazia vive di partecipazione e di cura reciproca, in particolare nei confronti degli esclusi ed emarginati».
«Passare dall’io al noi nella collaborazione». Questo si porta a casa Elena Geremia, componente della delegazione dell’Arcidiocesi udinese, nella quale è segretaria dell’Ufficio di Pastorale giovanile. «È un gran lavoro che richiede tempo, ascolto e pensiero: è quello che abbiamo fatto anche noi a Trieste». «È nata – spiega Geremia – anche una certa consapevolezza per portare a casa uno stile di partecipazione e di vita democratica. Un impegno a fare sul serio e a “fare insieme” anche quando ci sono punti di vista diversi: nel conflitto e nell’altro punto di vista si ha la visione completa della platea. Questa è la vera democrazia».
A Geremia fa eco Tommaso Nin, che nella Caritas diocesana cura l’osservatorio sulle povertà. «C’era un bel clima fraterno!», spiega Nin, che sottolinea come l’esperienza di Trieste fosse per lui la prima Settimana Sociale. «Siamo venuti a conoscenza di come altre realtà abbiano problemi e fatiche simili alle nostre. Questo mi ha aiutato a uscire dalla “bolla” in cui rischiamo di vivere».
Come si fa la democrazia
«Ci saremmo aspettati un focus sul contenuto, invece è emerso un metodo, un modo di fare basato sull’ascolto di tutti e sulla convergenza su determinati pensieri», spiega Giovanni Lesa, direttore dell’Ufficio per le Comunicazioni sociali dell’Arcidiocesi di Udine, a sua volta membro della delegazione udinese a Trieste. «Non è vero che il metodo non conta, o che bisogna sempre abbuffarsi di contenuti: se ci riempiamo di argomenti senza saperli leggere o decifrare, rischiamo di svolgere un esercizio teorico incapace di interpretare la realtà e creare reale partecipazione. Se la democrazia è ascolto, a Trieste ne abbiamo fatto un esercizio interessante. Altrettanto interessante – afferma Lesa – è stato il doppio punto di partenza: la Parola di Dio, che richiede l’Ascolto per eccellenza, e la realtà. Due elementi che la comunità cristiana è chiamata a leggere in modo integrato».
Un aspetto, quello metodologico, sottolineato anche da Luca Grion: «La Settimana Sociale è stata all’insegna della grande partecipazione da parte dei delegati, i quali si sono confrontati utilizzando un metodo di condivisione dei contenuti e di elaborazione delle proposte a partire da un vero discernimento comunitario. Di questo bisogna ringraziare il Comitato organizzativo che ha lavorato molto per permettere agli oltre mille delegati di trovare uno spazio nel quale esprimere i loro desideri, le loro aspettative e mettere a frutto le loro competenze e idee. Questo aspetto – ha proseguito Grion – ha fatto sì che la Settimana Sociale non si sia chiusa con conclusioni già pronte, ma abbia raccolto una prima sintesi da raffinare nei prossimi mesi, permettendo al cammino di continuare».
Piazze e buone pratiche
La piazza è il luogo per eccellenza della protesta, della mobilitazione per una causa. A Trieste, però, la piazza è stata soprattutto il luogo della condivisione del pensiero. «La Settimana Sociale è stata caratterizzata dall’apertura alla città che la ospitava» ha spiegato ancora Luca Grion. «Le vie del centro triestino sono state costellate dagli stand delle buone pratiche (110 in tutto, ndr) e dai palchi da cui è andata in scena la cultura della democrazia, dell’impegno e di una visione di futuro intesa in modo plurale e sinfonico. È stato bello vedere le piazze piene di gente che discute con gusto e competenza, con la voglia di capire e comprendere cosa si può fare».
Costruire insieme il futuro
Il pensiero di Tommaso Nin ha toccato le stesse corde: non solo ascolto, ma anche «Una costruzione partecipata, con proposte e convergenze che prendono spunto dalle buone pratiche che già ci sono. Non è necessario andare alla ricerca del grande leader o del grande personaggio, ma è possibile valorizzare ciò che già è presente». Trieste, insomma, ha permesso «Un’opera di lettura partecipata della realtà e delle sfide che a livello sociale sta affrontando il nostro Paese». Quella parola, “partecipazione”, è tornata varie volte nel corso dei lavori: «Non è un caso che le delegazioni fossero costituite da tre persone, tra cui almeno un giovane e una donna», ha sottolineato Giovanni Lesa. «Cristo aveva uno sguardo per tutti, senza esclusione o preclusioni: per questo è stato importante (e molto bello) vedere un’assemblea decisamente sbilanciata sui più giovani, con il loro pensiero e il loro entusiasmo. E il loro sorprendente radicamento in una fede che assume senso proprio nel sociale». A chiudere, Elena Geremia ricorda un aneddoto con un significato suo proprio: «Un piccolo slogan che ci ha accompagnati più volte in queste giornate è stata la canzone di Giorgio Gaber in cui si dice che la libertà è partecipazione. La democrazia non può esserci se non così!».