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Una friulana in Libano: «Ho deciso di restare qui per aiutare la popolazione palestinese»

«È una situazione surreale. Nonostante la tensione sia palpabile e i titoli di giornale richiamino il rischio di un’escalation militare, qui in Libano le persone comuni sono talmente abituate all’instabilità che pur consapevoli e preoccupate della situazione stanno vivendo come sempre la loro quotidianità». Sara Tosolini – ventisettenne friulana di Cavalicco – racconta così, sulla Vita Cattolica del 7 agosto 2024, l’atmosfera che si respira in queste ore in Libano. Musicoterapeuta, Tosolini è impegnata in un progetto dell’associazione «Music and Resilience» nel campo profughi palestinese Beddawi Camp, a Tripoli. «Il contrasto con il panico che ha colto gli stranieri è evidentissimo – prosegue Tosolini –, sappiamo che ci sono lunghe file all’aeroporto di Beirut perché gran parte delle persone sta cercando di rientrare. Io ho scelto di restare: pur in una situazione fragile come questa, mi sento abbastanza tranquilla. Certo, abbiamo dovuto adattare le nostre attività, cambiare programmi, ma il nostro impegno al fianco della popolazione palestinese prosegue».

Le grosse code all’aeroporto Rafic Hariri di Beirut, l’unico del Libano, di cui parla Tosolini, hanno iniziato a formarsi domenica, dopo che i Governi di diversi Paesi occidentali, Italia compresa, hanno consigliato ai loro cittadini di lasciare il paese per i timori di una nuova guerra tra Israele e il gruppo paramilitare libanese Hezbollah, sostenuto dall’Iran. «La situazione nell’area varia di giorno in giorno ed è impossibile disegnare degli scenari» ha spiegato al Sir suor Myrna Farah, religiosa libanese delle Suore della Carità di Santa Giovanna Antida Thouret.

«L’80% dei libanesi vive in uno stato di povertà e in una situazione di grande incertezza rispetto all’alimentazione, l’accesso all’acqua potabile e alle cure mediche. Il popolo libanese ha un grande spirito di resilienza – osserva suor Myrna –, ma quando il dolore è troppo grande non si parla più, e il silenzio diventa l’unica forma di linguaggio. La popolazione è talmente presa dai bisogni primari, dal mangiare, dal bere, dal reperire le medicine, la benzina, che non ha più le forze né il tempo di pensare ad altro che a sopravvivere. E contro chi dovrebbero poi protestare, verso quale istituzione?».

Il confine tra Libano e Israele

Intanto c’è grande allerta rispetto a quella che dovrebbe essere l’imminente risposta militare dell’Iran all’uccisione di Haniyeh, attribuita a Israele (anche se mai rivendicata da Tel Aviv). «La situazione interna al Paese è di grande paura – racconta Simin, mediatrice culturale iraniana che da tempo vive e lavora in Friuli –, la paura, certo non nuova, di una guerra regionale è concreta. La percezione di tutti è che questa volta la situazione sia particolarmente grave. C’è però un grande fatalismo, il popolo iraniano negli ultimi anni ha vissuto una crisi dietro l’altra, feroci repressioni della legittima richiesta di diritti minimi, difficoltà economiche che sembrano non avere fine. Questo fa sì che le persone siano rassegnate».

È possibile leggere l’intero articolo, firmato da Anna Piuzzi, sull’edizione del 7 agosto di “La Vita Cattolica”

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