Chi va piano va sano e va lontano, dice un noto adagio. Chi va piano e in compagnia, inoltre, può davvero arrivare dovunque. Non p una passeggiata né un cammino come gli altri quello in cui si mette un passo dopo l’altro verso una meta diversa da un semplice luogo di questo mondo: una finestra sull’infinito che sta dentro ogni persona e in cui, contemporaneamente, ognuno è inserito. «Qualcuno può partire con l’intendimento di camminare per sport o per benessere fisico. Nei fatti, durante il cammino si incontrano persone e si vivono momenti di solitudine che suscitano una riflessione sulla propria vita e sul suo senso. Il Cammino di Santiago è un’icona del cammino della vita». Di Cammino di Santiago se ne intende, mons. Luciano Nobile. Pochi giorni fa, infatti, è rientrato dal suo terzo pellegrinaggio sulla tomba dell’apostolo Giacomo. Alla faccia della carta d’identità, su cui è scritto, chiaro e tondo, 1942. «Eravamo in cinque», ha spiegato a Radio Spazio «C’era don Nicola Zignin – anche lui ospite dell’emittente diocesana per raccontare il “Cammino” –, un catechista della Cattedrale, Simone Carlini, e una coppia di Rivignano, Serena Dall’O e Paolo Comuzzi».
«Per me invece era la prima volta a Santiago», ha esordito don Nicola Zignin. «E sono partito pure infortunato, con uno strappo muscolare. Ma mi sono detto: ho speso parecchio in fisioterapia, sarà pur servito a qualcosa? E poi – e indica mons. Nobile – se ce l’ha fatta lui alla sua età, posso farcela anche io con mezza gamba ma con quarant’anni in meno!». Si scherza sempre volentieri quando ci si trova in sintonia e in serenità, complice anche l’immancabile humour di questi due straordinari sacerdoti.
Sono molti i percorsi che giungono a Santiago. «In precedenza avevo svolto il Cammino francese in bicicletta», ha ricordato mons. Luciano. «Ti fermi quando vuoi, sei più solo. La mia seconda esperienza è stata sul Cammino primitivo, con molte montagne. È stato più faticoso, ma lo ricordo con simpatia perché ho potuto esercitare anche la mia missione pastorale in mezzo a tanta gente che si è rivolta a me perché avevo una croce al petto, quindi intuivano che in me c’era qualcosa di “ecclesiastico”» afferma ancora il Vicario urbano. «Stavolta abbiamo fatto il Cammino portoghese». Don Zignin, giurista di formazione e segretario episcopale nel servizio in Diocesi, snocciola i numeri: «Abbiamo percorso il 12 tappe iniziando da Porto, nel sud del Portogallo, camminando in media 22 chilometri al giorno. C’erano giorni in cui si camminava sedici chilometri, altri invece arrivavi a trenta». Numeri che fanno impressione? Forse un po’. «Prima di partire si mettono sempre davanti le difficoltà» ammette mons. Luciano. «Camminare per tanti chilometri, la fatica, il disagio di dormire con altri, eccetera. Ma bisogna buttarsi, altrimenti non si parte più. Alla fine 20 chilometri al giorno non sono nemmeno così tanti… in fin dei conti, passati i primi due giorni tutto diventa normale e ci si abitua: il cammino, la camera condivisa, eccetera. Si supera tutto con una certa naturalezza».
Alla faccia dell’età dell’uno e dell’infortunio dell’altro, due ottimi alibi per starsene a casa. E invece no, nel cuore un sussurro diceva di partire e sono partiti. «Il cammino decidi tu di farlo, mentre il pellegrinaggio è una chiamata del Signore a vivere una certa esperienza (il cammino, appunto) come un dono». Vanno sempre ascoltati i sussurri del cuore. Quel muscolo così strano: lui pompa il sangue a ritmo, mentre altri muscoli muovono i passi, uno dopo l’altro. Talvolta in solitudine per diversi chilometri, talaltra insieme a compagni di viaggio. Previsti o provvidenziali poco cambia. «Tra noi cinque c’era chi faceva da segretario» racconta don Luciano indicando proprio don Nicola, «Simone (Carlini) e Serena (Dall’O) ci guidavano nel cammino, Paolo (Comuzzi) era il fotografo. Io per l’età giungevo sempre in ritardo, quindi tra le cose da fare mi rimaneva solo la presidenza dei momenti di preghiera. Ma – e sorride – ho dato agli altri l’occasione di fare una buona azione: aspettare gli ultimi come me!». Ride, don Nicola, che ricorda il momento dell’arrivo davanti alla maestosa cattedrale gotica di Santiago de Compostela. «Arrivarci è stata una sensazione pasquale» afferma, gli occhi illuminati. «È come arrivare al Sepolcro di Gesù, poi ho fatto come San Giovanni, prima di entrare ho aspettato Pietro». Un nuovo compagno di viaggio? «No no, è lui» e guarda mons. Nobile, ridendo. E quest’ultimo rintuzza: «Quando noi quattro siamo giunti insieme in piazza, don Nicola in effetti non c’era: era già arrivato ma ci ha aspettati. Camminare insieme significa quindi sapersi aspettare. Abbiamo tanta fretta nella vita e nelle attività pastorali, ma se si cammina insieme (e il Vescovo l’ha ricordato anche a noi sacerdoti) si giunge più lontano. Vale nella vita pastorale, ma anche nella vita personale».
Che bellezza, giungere alla destinazione. La chiesa, l’urna con i resti di un Santo (e che Santo!), la fine della strada e delle fatiche. Il corpo si distende, si rilassa tutto tranne i muscoli del volto che si contraggono in un sorriso, la mente gioisce. Al cuore, perché non si cammina solo con i piedi, resta lo sprint finale. «Giunti lì ci sono 4 passi», spiega don Zignin: «Confessione, comunione, l’abbraccio alla statua del Santo (per affidarsi all’intercessione di San Giacomo) e la preghiera per i nemici. Quando ho appoggiato la testa sulla statua di San Giacomo ricordo un momento di grande liberazione: “Signore, guariscimi la testa da tanti pensieri inutili”. Quel contatto fisico è stato un contatto vero, ed è un altro senso del cammino: il fisico diventa preghiera, il contatto della carne con l’apostolo dice che non possiamo scindere nessuna parte di noi: fisico, mente e cuore».
Tornati a casa, per andare avanti sul cammino della vita va vuotato lo zaino del cammino fisico. Pesante forse, ricco senz’altro. Quantomeno di incontri, quei compagni di strada non previsti ma resi tali dalle circostanze. La famosa provvidenza. «Mi ha impressionato vedere tanti giovani lungo il cammino, ciascuno con motivazioni diverse» ha ammesso mons. Nobile. «Il Cammino di Santiago non è solo turismo, perché prima o poi chiunque si chiede “perché sono qui? Dove sto andando? Perché proprio a Santiago? Cosa c’è là?” In particolare mi ha fatto piacere vedere un gruppo di ragazzi che si sono accodati a noi e abbiamo trascorso diverso tempo insieme. Li ho affidati a don Nicola, che è più giovane di me e ha spesso a che fare con i giovani. E lui ci ha messo davvero molto entusiasmo, sia negli incontri e le preghiere che abbiamo fatto insieme, ma anche accompagnandoli con i mezzi di comunicazione, in particolare WhatsApp, suggerendo loro spunti e preghiera. E questa cosa mi ha colpito».
Le nuove tecnologie possono davvero aiutare un percorso di spiritualità così “fisico” come un pellegrinaggio a piedi? «Tutto aiuta» prosegue mons. Nobile. «Ieri sera in Parrocchia ho trovato un gruppo di ragazzi, mi dicevano che avrebbero il piacere di partire anche loro per Santiago. “Però dovete andarci con un certo spirito, è un pellegrinaggio”, gli ho detto. Essi hanno obiettato che non avrebbero avuto un prete con loro, quindi li ho tranquillizzati: “Vi seguo io, anche da casa. Con WhatsApp vi suggerisco le preghiere da fare ogni giorno alla sera e al mattino”». Che forti questi preti camminatori. E pure smart. Ma i ragazzi sul cammino? «Quando ci hanno sentito parlare in friulano pensavano che fossimo portoghesi!» scherza don Nicola. «Il gruppo era italiano e molto socievole, ha fatto amicizia anche con giovani stranieri. Questo per me è stato un “salto”: ho sempre fatto difficoltà con le lingue, ma per amore del Vangelo il problema si supera. Per esempio, due volte ho parlato in inglese per venti minuti con una ragazza americana e con una neozelandese. Insomma, è arrivata la Pentecoste anche da me! Che cos’è il dono delle lingue se non quando una persona si sente voluta bene? Questi giovani si sono sentiti voluti bene “al di là della carne”, c’era il Signore in quel rapporto. Una delle ragazze di quel gruppo non era nemmeno cristiana, ma nel gruppo si sono voluti bene e sono certo che lei sia tornata a casa con il gusto del Vangelo». «L’impressione – conclude mons. Nobile – è che in fin dei conti tutti cerchino l’essenziale, l’infinito. Anche questi ragazzi, fino a una certa età erano tutti in oratorio… poi il rapporto con la Chiesa si è allentato. Ma l’animo umano è sempre alla ricerca di qualcosa di eterno». Chissà che per mons. Luciano Nobile questo ulteriore Cammino possa essere lo spunto per un terzo libro di racconto dei passi verso Santiago. «Un nuovo libro?» Sorride, come a schernirsi. «Mi sollecitano tanto i parrocchiani! Mi sono preso appunti durante il pellegrinaggio, ogni giorno. Sono le sensazioni del momento, per questo sono preziose, più importanti delle guide del cammino. Se avrò tempo, lo farò senz’altro!»
Giovanni Lesa