Dal Vangelo secondo Marco Mc 7,31-37
In quel tempo, Gesù, uscito dalla regione di Tiro, passando per Sidòne, venne verso il mare di Galilea in pieno territorio della Decàpoli.
Gli portarono un sordomuto e lo pregarono di imporgli la mano. Lo prese in disparte, lontano dalla folla, gli pose le dita negli orecchi e con la saliva gli toccò la lingua; guardando quindi verso il cielo, emise un sospiro e gli disse: «Effatà», cioè: «Apriti!». E subito gli si aprirono gli orecchi, si sciolse il nodo della sua lingua e parlava correttamente.
E comandò loro di non dirlo a nessuno. Ma più egli lo proibiva, più essi lo proclamavano e, pieni di stupore, dicevano: «Ha fatto bene ogni cosa: fa udire i sordi e fa parlare i muti!».
Parola del Signore.
Commento al Vangelo dell’8 settembre 2024,
XXIII Domenica del Tempo ordinario
A cura di don Nicola Zignin
Gesù, che nel Vangelo di domenica scorsa ha apostrofato i farisei accusandoli di ipocrisia, poiché osservavano orpelli insignificanti della legge, tradendo poi il cuore della stessa, così attenti alla cornice da trascurarne il quadro, burocrati del Signore più che suoi figli. Gesù che estende l’ammonizione anche ai suoi discepoli, avvertendoli sul rischio di essere formalmente a posto, con un’estetica cristiana ordinata, ma con un’interiorità che custodisce gelosamente desideri contrari allo spirito della legge, che usa parti della stessa legge per truccarli di bene. Gesù, dopo aver fatto questo, si inoltra in territorio pagano, forse perché a volte il semplice peccatore è più umile e vero del fariseo e del discepolo, e anche, attualizzando, del cristiano praticante.
In questa strada incontra un sordomuto, è una situazione sanitaria quella che incontra Gesù, ma simbolicamente è una situazione esistenziale. La malattia del peccato si dice che rende ciechi rispetto al bene, oggi si può aggiungere che rende anche sordi. Il peccatore testardo, anche se ascolta il Vangelo “non lo capisce”; non capendolo, quando la vita lo interroga su di esso, non può proclamarlo, poiché non ha parole che sappiano andare oltre alla carne, oltre al qui e ora.
La situazione sembra drammatica e insolubile, salvo una cosa: andare incontro a Gesù, ma prima di incontrare Gesù, serve fare un passo di umiltà. Ammettere che non abbiamo orecchie per ascoltare la felicità, perché spesso intasate dal cerume del peccato, più spesso da mille voci che ci assalgono e che rendono il Vangelo inascoltabile, come se venisse proclamato in una discoteca con la musica a tutto volume. Insieme a questo passo, dobbiamo ammettere di essere muti, poiché la nostra vita, vorrebbe mettere d’accordo il Vangelo con il mondo, cosa così contraddittoria che non si riesce a definirla, poiché sarebbe come parlare di due oggetti diversi nello stesso momento.
Chi si presenta a Gesù con questa umiltà, riceve da Lui un tocco di Grazia. Viene liberato dal peccato e reso capace di ascoltare la verità e la gioia. Costui riesce a distinguere il superfluo dal sostanziale, poiché ha a cuore una pienezza così grande di amore per Gesù e per i fratelli da saper discernere ogni situazione in funzione del bene, in un passaggio che fa perdere la voce all’egoismo, venditore di una felicità troppo fugace e troppo solitaria, per dare invece tono a un’apertura all’amore, che non conosce confini.
Questa liberazione, ha il suo inizio la prima volta che incontri Gesù e avvia un processo di rinascita che dura tutta una vita. E serve tutta una vita per poter raccontare in pienezza quello che si è sentito e proclamare con tutto lo spessore che merita quello che si è vissuto. Per questo all’ex sordomuto Gesù vieta di parlare, perché per poter dire da quali chiusure ci libera il Signore e a quale apertura all’amore autentico Egli ci chiama è necessario un tempo di comprensione; eppure la gioia, anche parziale che si prova a volte è così grande, che non si riesce a tacere, anche se col senno di poi vediamo che sarebbe stato bene prendere un po’ di tempo, perché quel primo racconto avrà bisogno di correzioni. Ci accorgeremo infatti che l’amore di Dio è più grande di quello che avevamo intuito.
don Nicola Zignin