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Crescono gli occupati, non le ore lavorate. Urge in Friuli una politica industriale

Cosa aspettarci in finale di anno in tema di economia e lavoro? E nel biennio 2025-2026? Sui mass-media il Governo vanta risultati economici ed occupazionali eccezionali perché migliori rispetto al pre-Grande Crisi (2007): mito o realtà? La risposta nei dati ufficiali Istat, gli unici accreditati a livello comunitario ed internazionale. Confrontando la quantità di ore lavorate nell’economia italiana (23 miliardi nel 1° semestre del 2024 a fronte di 22,9 miliardi nel 2007) e il numero degli occupati (quasi 26,4 milioni nel 1° semestre 2024 contro poco meno di 25,2 milioni dell’analogo periodo del 2007, risulta che gli occupati crescono (+4,7%) ma che le ore lavorate sono praticamente le stesse (+0,4%). Addolora e turba, inoltre, il fatto che quasi 1,2 milioni di lavoratori addizionali (confronto 1° semestre 2024-2007) non facciano crescere il Pil italiano, stabile attorno ai 901 miliardi di euro.

Il motivo del dolore? La forte presenza di lavoro precario e malpagato soprattutto in alcuni settori del terziario, in particolare nel turismo e nel commercio, lo dicono i dati dell’Inps. Il motivo del turbamento? L’immotivata centralità assunta da tali settori nella politica economica nazionale e del nostro Fvg. Il settore turistico, infatti, è limitato dalla sua forte stagionalità mentre quello distributivo langue a causa del calo demografico che comprime inesorabilmente consumi e vendite. Di contro, il settore manifatturiero recita un ruolo macroeconomico ben più rilevante trainando l’occupazione di diversi comparti terziari – come, ad es., la logistica, i servizi alle imprese, alcune categorie professionali – e distribuendo retribuzioni ben più consistenti e durature nel tempo. Ciononostante, patisce una pluridecennale rottamazione culturale e viene ignorato – quando non penalizzato – in termini di politica economica. Il caso dell’acciaieria Danieli né è stato un esempio eclatante che costituisce un freno all’investimento industriale in area friulana. Non è un caso, dunque, che la Banca d’Italia cifri la crescita del Pil Fvg, nel 2023, allo 0,6% ovvero a un valore quasi dimezzato rispetto a Trentino A.A., Veneto ed Emilia R. (+1,1% ciascuna). Come non è un caso che nel 2023 il Fvg sia stata l’unica regione d’Italia a subire una perdita occupazionale alimentata anche dall’insieme di turismo e commercio (dati Istat).

L’evoluzione prevista del Pil nel triennio 2024-2026 sia a livello Fvg che italiano? Tristemente lugubre per entrambi. Il Documento di Economia e Finanza del Fvg approvato a luglio 2024 non lascia dubbi: Pil Fvg allo 0,8% nel 2024 e nel 2025 e allo 0,7% nel 2026. E per l’Italia? Sempre secondo il DEFR del Fvg: 0,8% (2024), 0,9% (2025) e 0,7% (2026). Forse, per il 2024, la stima del Pil italiano allo 0,8% è addirittura ottimistica posto che l’Istat quantifica – sulla base dei dati effettivi conseguiti al I semestre 2024 – una crescita acquisita del Pil allo 0,6%! In ogni caso sono dati assai diversi da quelli previsti dal Governo nel DEF varato ad aprile (1,0%, 1,2% e 1,1%, solito triennio) e che, pertanto, dovranno essere rivisti dalla Nota di Aggiornamento del DEF in arrivo a giorni. Sulla quale vigilano gli organismi comunitari preoccupati per le ricadute sullo stock del debito pubblico nostrano. Ma spes ultima dea, dicevano i romani dei millenni passati. La speranza, in Fvg, si alimenterebbe solo con un radicale cambiamento di politica economica da parte dal confezionando Piano regionale di politica industriale. Un Piano, speriamo, capace di quantificare i tempi dell’intervento, gli investimenti necessari in mezzi tecnici, impianti, formazione e, soprattutto, che innovi l’attuale vetusta strumentazione di politica industriale. Come? Orientandola alla ricerca – anche all’estero – di imprese, capitali e lavoratori mancanti. Solo di questi ultimi ne servono 75mila nei prossimi 5 anni, lo dicono Ministero del lavoro e Unioncamere.

Fulvio Mattioni

Economista RilanciaFriuli

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