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Rotta balcanica, quando l’accoglienza è negata. Reportage da Trieste

«Ho dormito per quattro mesi nel “silos”. Era terribile. Oggi per fortuna ho i documenti e lavoro: qualche giornata nelle vigne per la vendemmia, qualche altra nei cantieri, come muratore. Ogni sera però vengo qui e cerco di dare una mano, distribuisco i pasti e soprattutto faccio da “mediatore linguistico”». Siamo in piazza della Libertà, a Trieste, e Noman – ventottene pachistano – è qui, come altri ragazzi, una vera e propria istituzione, un punto di riferimento. Ha un sorriso aperto e ogni suo gesto è accompagnato da una profonda gentilezza. Fa da ponte Noman, tra i volontari di «Linea d’ombra» e chi è appena arrivato dalla “rotta balcanica”.

Il nostro reportage, pubblicato in prossimità della Giornata mondiale del Migrante e del Rifugiato – del quale qui è presentato solo un estratto, la versione completa è nell’edizione del 25 settembre de La Vita Cattolica – parla di vite di sofferenza e speranza, di viaggi e di soprusi. Lungo la rotta che passa dai vicini Balcani.

Si curano i piedi dei migranti

Sono trascorsi ormai tre mesi dallo sgombero della vergogna del “silos” (il 21 giugno), centinaia di persone sono state trasferite fuori regione. Per i nuovi arrivati però non c’è soluzione. Sono almeno 160, infatti, quelli che ogni sera dormono accampati negli angoli di Porto vecchio o in piazza della Libertà. E da giorni tira bora. Fa freddo, anche se è solo settembre. Tutti hanno addosso la fatica di mesi di cammino, piedi martoriati e la paura per quel che sarà da qui in poi.

Ci sono ragazzi afghani e pakistani. Alcuni di loro avranno a malapena 15 anni. Diversi sono bengalesi. Alcuni siriani. Pochissimi africani. Due sorelle curde sono appena arrivate dalla Turchia, raccontano che i loro figli sono rimasti bloccati in Slovenia. C’è anche un’altra famiglia curda, con due bambini piccoli, fuggita dalla Turchia, spiegano che lì per loro era ormai diventato impossibile vivere. Non pensavano – aggiungono – che a Trieste facesse così freddo, allora oltre a un pasto i volontari offrono giacche e coperte. Alle due donne, invece, scarpe comode. Le loro sono praticamente sfondate. Assan è invece qui da qualche giorno, è ingegnere e attende l’appuntamento in Questura per i documenti, nel frattempo anche lui dorme in strada e – ci racconta – studia italiano.

Anna Piuzzi

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