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«Gesù è la nostra speranza». L’Arcivescovo presenta la sua prima Lettera pastorale

«Volgiamo lo sguardo a Gesù Cristo nostra speranza». Questo il titolo della Lettera pastorale che mons. Riccardo Lamba consegnerà alla Chiesa di Udine durante la celebrazione dei Vespri di domenica 13 ottobre alle 16 in Cattedrale a Udine. La prima Lettera pastorale dell’episcopato di mons. Lamba in Friuli sarà consegnata simbolicamente dallo stesso arcivescovo a direttori e direttrici dei Consigli pastorali nel corso della celebrazione; al termine il testo sarà consegnato a tutti i partecipanti e sarà disponibile per le singole Collaborazioni pastorali, oltre che sui canali digitali dell’Arcidiocesi di Udine.

Venendo al testo, mons. Lamba donerà una Lettera ricca di sollecitazioni di natura pastorale, concrete e capaci di fare breccia nelle prassi delle comunità per generare quella speranza che alle volte resta nascosta dietro alla miriade di difficoltà con cui le Parrocchie e le Collaborazioni pastorali hanno ordinariamente a che fare. Esortazioni che non possono giungere senza una prima parte di esplorazione del desiderio umano di speranza che trova il suo soddisfacimento in colui che è nominato fin dal titolo stesso della Lettera: Gesù Cristo. «È lui il centro della nostra speranza», ha affermato lo stesso mons. Riccardo Lamba a La Vita Cattolica.

Mons. Riccardo, perché una lettera pastorale sulla speranza?

«È una Lettera scritta in vista del Giubileo dell’anno prossimo, che il Papa ha voluto intitolare “Pellegrini di speranza”. Tuttavia, più che sul Giubileo ho cercato di mettere l’accento sulla figura di Gesù Cristo, perché è lui la nostra speranza, è a lui che siamo chiamati a “volgere lo sguardo”. Quindi c’è il Giubileo dedicato alla speranza, ma il tema va ricentrato su Gesù Cristo e la nostra fede in lui.»

Che speranza può esserci per l’umanità in un tempo contraddistinto da tante crisi? Pensiamo soprattutto a quelle ambientali e belliche

«Innanzitutto credo che la speranza sia legata alla fiducia in Dio, che porta avanti la storia e ci fa giungere alla salvezza. Lui ha la capacità di passare attraverso le pieghe delle nostre debolezze e fragilità: se abbiamo fede in lui, abbiamo anche speranza in lui. In fondo, Gesù ha attraversato tutte le contraddizioni, lui stesso è stato vittima di violenza. E lo Spirito di Dio lo ha fatto risorgere dalla morte. Questo noi crediamo: che possiamo risorgere con lui anche da tutte queste crisi.»

La Chiesa di Udine viene da un anno di riflessione e lavoro sull’Iniziazione cristiana. Come coniugare questo percorso con il tema giubilare?

«La fede cristiana che è trasmessa di generazione in tanti percorsi pensati per bambini, ragazzi, ma anche famiglie, non può prescindere dalla Buona notizia di Gesù Cristo. Poco fa dicevo che è lui la nostra speranza, di conseguenza c’è un legame fortissimo tra l’annuncio di fede e la speranza che ci viene da Gesù.»

Una curiosità: la lettera sarà presentata il 13 ottobre, ma porta la data del 1° ottobre, giorno in cui la Chiesa celebra Santa Teresa di Lisieux, patrona delle missioni. Speranza e missioni: un legame voluto?

«È un legame strettissimo e non casuale! Santa Teresa di Lisieux, giovanissima monaca carmelitana in clausura, è stata proclamata patrona delle missioni perché ha avuto a cuore l’annuncio del Vangelo alle persone lontane. E intendo sia lontane geograficamente, sia persone che per diversi motivi non hanno avuto occasione di conoscere Gesù Cristo o si sono allontanate dalla pratica religiosa. Il fatto che ci sia lei all’inizio del percorso di quest’anno è perché nel Dna della Chiesa c’è la missione. Il Papa l’ha ricordato più volte: dobbiamo essere capaci di uscire dai nostri ambienti per portare la lieta notizia di Gesù Cristo, lasciando comunque la libertà affinché questo annuncio venga accolto.»

Nel testo della Lettera lei esprimerà alcune esortazioni?

«Ci sarà una prima parte introduttiva, che ha come sfondo una ricerca umana di speranza. La seconda parte è più pastorale, dove ci sono diversi ambiti su cui mi soffermo.»

Per esempio?

«Serve portare un annuncio di speranza nella concretezza della vita delle persone. Penso alla vita spirituale, alla catechesi, al “primo annuncio” e alla carità. Alcune proposte hanno un orizzonte lungo, ma con l’attenzione di coinvolgere tanti collaboratori che da tempo sono al lavoro in questo campo.»

Per radicare la speranza ha parlato di fede… e ora anche di carità.

«I cristiani, attraverso l’esperienza del dono di se stessi, possono sia alimentare la speranza, sia offrire agli altri motivi di speranza. Pensiamo alle situazioni di fragilità: povertà, anzianità, malattia, persone che vivono restrizioni della libertà personale. Ci saranno suggerimenti e proposte.»

L’Arcidiocesi sta pensando a segni concreti di speranza da “seminare” in quest’anno giubilare?

Sì, ci sono alcuni segni che vorremmo lasciare. Però preferirei che siano concretizzati dalle persone, dal Popolo di Dio che, recependo i valori sottolineati nella Lettera, possa porre in atto decisioni operative e segni su cui verificarsi anche negli anni a venire. Il Giubileo non dev’essere un periodo straordinario fine a sé stesso, ma un tempo in cui valutare iniziative che continuano anche dopo. Ma preferisco che maturino nelle comunità.»

Usando un’immagine del mondo agricolo, ogni seme ha bisogno del suo tempo…

«Certo, e servono anche agricoltori che continuino ad innaffiare i germogli ascoltando la Parola di Dio, vivendo i Sacramenti e accogliendo ciò che lo Spirito Santo vorrà suggerire.»

Giovanni Lesa

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