Nel corso del 2024, il Consiglio regionale del FVG aveva già respinto la mozione Bullian e successivamente la proposta di legge “Cappato” di iniziativa popolare, dapprima in III Commissione e in seguito all’arrivo in Aula con una pregiudiziale di costituzionalità, trattandosi di materia su cui la Regione non ha competenza legislativa.
Mercoledì 30 ottobre quarta bocciatura dell’agenda Cappato. Lo strumento scelto, stavolta, è stato quello del “Voto alle Camere e al Governo” che, sebbene previsto dallo Statuto regionale è certamente inusuale. Il testo, infatti, anche se approvato, non avrebbe avuto alcun valore giuridico, trattandosi soltanto di un auspicio, di un incoraggiamento non vincolante.
Che giudizio dare dunque della singolare iniziativa?
Dal punto di vista metodologico, la mossa aveva evidentemente un fine politico: portare il Consiglio di un Regione governata dal centro-destra in una situazione di contrasto con il Governo Nazionale che sul significato della intera operazione Cappato ha più volte manifestato le sue riserve. Sarebbe stato sciocco, dunque, se la maggioranza avesse abboccato all’amo ed è stato facile per Carlo Bolzonello, il consigliere che presiede la III Commissione, chiudere la discussione sul nascere. Parlando a nome della maggioranza, Bolzonello ha giudicato il documento “inaccoglibile”, in quanto è inutile sollecitare un Parlamento che ha già incardinato diverse proposte di legge sul tema, avviando le audizioni proposte dai partiti.
Per quanto riguarda il contenuto, quella del suicidio assistito è per Cappato solo una tappa, la penultima, nella lunga marcia verso il traguardo dell’eutanasia. Nella concezione radicale dei diritti, è l’individuo il padrone unico della sua vita e della sua morte. Solo utilitaristicamente l’individualismo si fa paladino della sofferenza di qualcuno, usando come grimaldello le aperture della Corte Costituzione.
Nel merito è stato il Consigliere Andrea Cabibbo, già Presidente del Movimento per la Vita di Pordenone, a smascherare il disegno che sosteneva anche l’apparentemente innocuo “voto alla Camere”:
“La vita è il bene più importante e prezioso di cui disponiamo e non ci possono essere forzature o
strumentalizzazioni. Legiferare su questi temi significa intervenire sulla titolarità e sull’esercizio di diritti fondamentali, la competenza sui quali è esclusivamente dello Stato. Non ha senso cercare scorciatoie ostinandosi a usare in modo improprio il Consiglio regionale o i tribunali. Ci opponiamo con fermezza a chi strumentalizza in modo spregiudicato la sofferenza dei malati e le difficoltà delle loro famiglie” ha affermato Cabibbo, già Presidente del Movimento per la Vita di Pordenone.
Vale la pena sottolineare ancora una volta che la corte Costituzionale si è limitata a dichiarare incostituzionale la parte dell’art. 580 del C. P. che punisce l’aiuto al suicidio, nei soli casi in cui a chiedere di morire è una persona capace di decidere, affetta da patologie irreversibili, in condizioni di sofferenza intollerabili e dipendente da sostegni vitali.
La stessa Corte, peraltro, ha riaffermato il valore sociale della vita ed ha negato recisamente che esista un diritto costituzionale al suicidio. Contrariamente alle pretese, la Corte Costituzionale ha anche chiarito che il SSN non ha alcun obbligo di fornire spazi, strumenti e personale per tradurre in atto il suicidio. Per la Corte, alla sanità pubblica spetta solo il compito di accertare l’esistenza di tutti i requisiti per i quali vale la depenalizzazione e di vigilare sulle modalità di esecuzione.
Dal punto di vista giuridico, la Corte costituzionale può dichiarare una norma incostituzionale, ma non ha margini per andare oltre e dire al Parlamento se e come deve fare una nuova legge. È la separazione dei poteri dello stato che attribuisce solo al Parlamento la potestà legislativa.
È compito del legislatore individuare e tenere in considerazione tutta la complessità degli elementi in gioco che non sono solo l’autodeterminazione dell’aspirante suicida, ma la protezione delle persone più vulnerabili dalle pressioni economiche e piscologiche che li invitano a uscire di scena per non essere di peso. La protezione anche da chi vorrebbe che si facessero da parte perché la loro vita da malati non ha sufficiente dignità. Ma “la dignità è nella sguardo del curante” (Harvey Max Cochinov, psico-oncologo canadese) e sono purtroppo proprio gli occhi malati di chi è sano a non riconoscergliela
È compito della sanità pubblica fare sì che ai malati e alle loro famiglie non vengano mai meno assistenza e sollievo e che la rete delle cure palliative possa arrivare a tutti coloro che ne hanno bisogno.
È compito della politica valutare le conseguenze delle decisioni, anche sulla base delle esperienze esistenti: in Canada la morte medicalmente assistita interessa ormai il 7 % dei decessi e viene proposta anche a chi non ci ha mai pensato per ridurre il peso della cronicità.
È compito degli ordini professionali riuscire a vedere l’orrore delle trasformazioni che investirebbero la professione medica, se passasse il pietismo dell’aiuto al morire.
È compito della Chiesa educare al rispetto della vita, all’accettazione del progetto di Dio sulla nostra vita e alla solidarietà verso chi soffre, perché “la sofferenza è intollerabile solo se non importa a nessuno” (Cicely Saunders, fondatrice degli Hospice).
Gian Luigi Gigli