È giunta nella mattina di giovedì 28 novembre, in via Mercatovecchio a Udine, la teca contenente i resti dell’automobile “Quarto Savona Quindici”, la Fiat Croma blindata della Questura di Palermo che faceva da scorta del magistrato Giovanni Falcone il giorno dell’attentato di Capaci e in cui persero la vita i poliziotti Antonio Montinaro, Vito Schifani e Rocco Dicillo. Ad organizzare l’iniziativa è stata l’associazione DonatoriNati. Lo scoprimento della teca è avvenuto alla presenza del Prefetto di Udine, Domenico Lione, di Claudio Saltari, presidente nazionale dell’Associazione DonatoriNati e del vicesindaco di Udine, Alessandro Venanzi.
Impressionanti le condizioni dei resti dell’auto che, il 23 maggio del 1992, fu fatta esplodere nell’attentato mafioso con 500 chili di tritolo. «La Quarto Savona 15″ – si legge nei tabelloni esplicativi apposti sulla teca –, nonostante le sue lamiere contorte e le sue ferite aperte, non ha mai interrotto il suo cammino e se i numeri sul contachilometri sono fermi a 100.287 è solo perché le ruote, sulle strade del cileo dove lei corre, non hanno bisogno di girare».
«Quando penso al significato della parola “eroe” – ha affermato Venanzi – mi vengono sempre in mente Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Due eroi italiani che hanno sacrificato la loro vita per combattere la mafia e difendere la nostra libertà». «Avevo 11 anni – ha proseguito il vicesindaco – all’epoca della strage di Capaci, quando Giovanni Falcone, Francesca Morvillo e i tre agenti della scorta, Antonio Montinaro, Rocco Dicillo e Vito Schifani, vennero uccisi nell’attentato che tutti ricordiamo. Quell’evento mi ha toccato profondamente, ed è stato uno dei motivi che mi hanno poi spinto a fare politica, per mettermi al servizio della comunità. Quest’oggi ho partecipato con orgoglio in rappresentanza dell’amministrazione Comunale allo scoprimento della teca contenente la “Quarto Savona Quindici”. E sono stato felice di vedere nel pubblico così tanti ragazzi. È fondamentale che quel momento della storia d’Italia non venga sfocato o cancellato in futuro. Si tratta di un simbolo di dolore – ha concluso Venanzi – ma anche di speranza e determinazione nella lotta contro ogni forma di criminalità organizzata. Perché il sacrificio di questi eroi non venga mai dimenticato».