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Opinioni

Retribuzioni in calo nonostante il taglio del cuneo fiscale

Sciopero generale ideologico, politico o semplicemente sindacale, ovvero pro-lavoro? Come noto, l’Italia è l’unica tra le 34 economie facenti parti dell’Ocse ad avere patito un calo del reddito medio annuo reale nel periodo intercorso tra il 1991 ed il 2023 a fronte di una sua crescita media in tali Paesi superiore al 30%! Ed il confronto tra le 4 maggiori economie UE è inequivoco perché l’Italia dimagra (-3,4%) mentre Francia (30,9%), Germania (30,4%) e Spagna (9,2%) crescono. Nello stesso arco temporale, le ore di lavoro perse per conflitti sindacali in Italia precipitano mentre in Francia e Germania si sono registrate ondate significative di rivendicazioni legate ad orari di lavoro e retribuzioni.

Tornando all’Italia degli ultimi 8 anni si ricorda che la retribuzione pro-capite del periodo 2016-2023 ha visto una crescita media annua dell’1,3% per i dipendenti pubblici e dell’1,7% per quelli privati a fronte, però, di una crescita media annua dei prezzi al consumo pari al 2,2%. Non proprio una gioia per i lavoratori che hanno perso potere d’acquisto e, quindi, un dovere sindacale muoversi per recuperarlo.

Vediamo cosa è stato fatto dal sindacato negli anni recenti aiutandoci con la tabella che, nella seconda colonna, quantifica il valore delle retribuzioni dei dipendenti italiani sia nel periodo storico (2021-2023) sia in quello previsionale (2024-2029) grazie ai dati Istat. Nella terza si trova il dato sull’inflazione; nella quarta quello delle retribuzioni nell’ipotesi miracolosa che possano recuperare l’inflazione; nella quinta la perdita di retribuzione patita nel caso in cui il miracolo non accada; nella sesta il recupero di retribuzione dovuto all’introduzione (grazie al Governo Draghi e alla spinta sindacale) dello “sgravio contributivo e fiscale” mentre nell’ultima colonna appare la perdita netta, quella patita nonostante la riduzione del cuneo contributivo. Una loro sintesi efficace, forse, è questa: facendo la somma della perdita netta sofferta dal nostro lavoratore nei 9 anni esaminati – perdita che ammonta a ben 25.580 euro – si apprezza la sua probabile tristezza lugubre avendo perso una cifra quasi pari alla retribuzione dell’anno 2021! E si capisce perché non sia entusiasta della manovra Meloni posto che, pur reiterando l’intervento di riduzione del cuneo fiscale, mantiene elevata la perdita ed anzi l’aumenta nel medio periodo. La difesa del potere d’acquisto di stipendi e salari è sì o no una funzione squisitamente sindacale? La perdita di valore della retribuzione, infatti, non discende da un destino crudele ma dipende dall’incapacità di far crescere l’economia.

Da questo versante, lo sforzo previsto nella manovra finanziaria appare sia misero che poco credibile. Ė misero perché la differenza tra il Pil tendenziale (quello privo di interventi del Governo) e quello programmatico (con interventi del Governo) nell’intero periodo 2024-2027 è di appena 0,4 punti percentuali (3,7 del primo contro il 4,1 del secondo). Ma questo “sforzetto” è anche assai poco credibile perché la stima programmatica per il 2024 (Pil, +1%) appare assai poco realistica come hanno detto Banca d’Italia, Corte dei Conti e Istat ricordando che la crescita acquisita del Pil nei primi 9 mesi è stata appena dello 0,4%.

Infine, chiedere misure a sostegno dell’economia facendo presente che manca, ad es., una strategia nazionale industriale – macrosettore che offre lavori stabili, più qualificati e meglio pagati assieme al settore pubblico – è compito sindacale o no? Protestare contro i tagli occupazionali nella sanità e scuola? E far presente che la pressione fiscale aumenta (a differenza delle promesse di diminuirla) e che viene posta a carico del lavoro dipendente? A tutti noi l’onere di rispondere.

Fulvio MATTIONI – economista RilanciaFriuli

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