Sono oltre mille i giorni trascorsi dall’invasione russa dell’Ucraina. Mille giorni di guerra e di combattimenti che nelle ultime settimane si sono fatti – se possibile – ancora più intensi. Basti pensare che tra il 25 ed il 26 novembre Mosca ha lanciato il numero record di 188 droni. I russi, inoltre, continuano ad avanzare anche nell’est del paese. Sotto il profilo diplomatico (dopo il breve fermento seguito alla vittoria di Donald Trump alle presidenziali statunitensi) tutto sembra fermo. Negli ultimi giorni, infatti, l’unica novità è stata l’apertura del presidente ucraino, Volodymyr Zelenskyj, a una possibile soluzione negoziale del conflitto. «Se vogliamo fermare la fase calda della guerra in corso – ha dichiarato – occorre che i territori che ancora controlliamo vengano posti sotto l’ombrello della Nato». Le zone che invece sono occupate dalla Russia potrebbero essere recuperate «per vie diplomatiche». La Russia però ha fatto sapere che l’ombrello Nato in Ucraina sarebbe per Mosca «inaccettabile».
Intanto, in questo scenario – e con il conto alla rovescia all’insediamento ufficiale di Donald Trump alla Casa Bianca (il 20 gennaio) –, gli Stati Uniti hanno annunciato un nuovo pacchetto di aiuti militari all’Ucraina del valore di 725 milioni di dollari (circa 690 milioni di euro).
La missione di Caritas
E poi c’è chi pensa a portare sollievo alla popolazione stremata da questi oltre mille giorni di sofferenza e orrore. Nei giorni scorsi, infatti, una delegazione della Caritas diocesana di Udine – composta, tra gli altri, da Stefano Comand, segretario del Centro missionario diocesano, il parroco di Gonars, don Michele Zanon, ma anche da sanitari e rappresentanti di altre realtà come l’Associazione San Luigi Scrosoppi e il Coordinamento nazionale comunità accoglienti – si è recata in missione proprio in Ucraina. È questa la seconda visita di Caritas nell’oblast della Transcarpazia, l’unica delle 24 regioni ucraine che confina con quattro Paesi, Polonia, Slovacchia, Ungheria e Romania. «Anche questa volta sono diverse le strutture che abbiamo visitato – osserva Stefano Comand – in particolare dedicati a bambine e bambini, anche orfani di guerra, che hanno una disabilità, ci siamo così confrontandoci con operatori e volontari, ma anche con il presidente della locale Caritas per capire quali sono le priorità e quale può essere il nostro contributo. In quest’area è altissimo il numero di persone sfollate da altre regioni dell’Ucraina, abbiamo dunque discusso molto di supporto psicologico. Qui si fanno numerose attività di aggregazione per restituire un senso di comunità a queste persone, ma c’è al contempo la necessità di rinforzare l’ascolto psicologico. Ci siamo poi trovati d’accordo anche rispetto alla possibilità di fare formazione ai formatori, in modo particolare rispetto a quei nuclei familiari che accolgono orfani o bambini comunque sfollati. Ora ragioneremo su come agire, con quali modalità».
Atmosfera più pesante
Rispetto alla situazione del Paese, Comand aggiunge: «Le città che abbiamo visitato sono molto a ridosso del confine con l’Unione Europea e dunque parliamo di un’area che è da sempre considerata “sicura”. A differenza dell’altra missione però il clima è completamente diverso. Abbiamo sentito le sirene risuonare più volte e nella regione ci sono stati bombardamenti. La percezione è di grande preoccupazione».
Anna Piuzzi