Chissà se lo scorso dicembre quel Vescovo ausiliare impegnato nei quartieri a est di Roma avrebbe immaginato che il Natale successivo, quello che ci apprestiamo a celebrare, l’avrebbe trascorso guidando in prima persona una Diocesi. Pardon, Arcidiocesi. Quella di Udine, “quassù” nell’estremo nord-est. «Questo per me è il primo Natale in Friuli e quello che posso augurare a tutti è di poterlo vivere secondo lo spirito delle tradizioni religiose». Mons. Riccardo Lamba apre con la sua consueta semplicità la chiacchierata con la Vita Cattolica (disponibile anche in podcast su Radio Spazio). «Un Natale da vivere con dei momenti intensi di spiritualità, ma anche vissuti in famiglia, perché immagino che molti per diversi motivi siano dovuti andare fuori dal Friuli per lavoro. Senza dimenticare un’apertura alla mondialità, perché tutti vorremmo ricevere per Natale il dono della pace».
Monsignore, lei è in Friuli da poco più di sette mesi. All’inizio si disse colpito dalle tante realtà che si prendono cura delle persone con disabilità e di chi vive in genere in condizione di marginalità. Ci sono altre cose che l’hanno impressionata in questi primi mesi qui in Friuli?
«C’è una bella vivacità culturale, con tante associazioni che promuovono incontri per cercare di valorizzare le realtà storiche e culturali della regione. E poi mi colpisce la laboriosità nel mondo dell’imprenditoria, dell’industria dell’artigianato».
A proposito di società, c’è un’attenzione sempre accesa nei confronti delle realtà carcerarie del territorio. Il 21 dicembre ci sarà anche una “marcia nonviolenta” a Udine. Che attenzione possono avere le comunità cristiane nei confronti dei carcerati?
«Sicuramente la realtà carceraria è molto complessa anche a livello nazionale, non solo qui in Friuli. Qui, anzi, possiamo dire che per alcuni versi c’è stato un grande sforzo da parte dell’amministrazione delle due case circondariali, soprattutto a Udine, per delle opere di miglioramento della struttura penitenziaria, con nuovi spazi di incontro e di formazione. Però ci sono i problemi del sovraffollamento e della carenza del personale… Le nostre comunità cristiane dovrebbero partecipare alla cura che i nostri cappellani carcerari (così come alcune realtà di volontariato) stanno mettendo in campo per costruire il “dopo” per coloro che escono da questi luoghi, per accompagnarli in percorsi che possono riportarli a una vita e più possibile ordinaria».
Lei stesso celebrerà il Natale con i detenuti e il personale, sia a Udine che a Tolmezzo. Molte persone hanno notato che lei ha un’agenda fittissima di incontri, per i quali macina chilometri in lungo e in largo in un territorio molto vasto. Perché tutta questa “fatica”?
«Lo faccio volentieri. Mi rendo conto che questo può preoccupare qualcuno che mi dice: “vai piano, non correre, rallenta il ritmo”, però è un mio desiderio rendermi presente nelle diverse realtà pastorali, alcune anche piuttosto grandi, altre anche più piccole e meno numerose, proprio perché credo che questa sia una dimensione importante del mio ministero: essere presente accanto alle persone per incoraggiare a operare quel bene che già da tempo svolgono i sacerdoti, le religiose, i laici impegnati sul territorio».
I sacerdoti spesso sono criticati, talvolta evidenziano fatiche, ma sono persone che stanno continuando a donarsi ogni giorno per il Vangelo. Come aiutarli nella loro missione?
«Io cerco, per come posso, di rendermi presente. Però credo anche che sia molto importante impostare una presenza reciproca tra di loro con momenti di incontro nelle diverse Collaborazioni pastorali e Foranie. Alcuni lo fanno. Già il fatto di poter condividere periodicamente un momento di fraternità fatto di preghiera e di condivisione semplice come mangiare insieme o trascorrere una serata in compagnia, credo possa essere di grande aiuto e sostegno».
E le comunità come possono aiutare i loro preti?
«Collaborando. C’è tanto laicato adulto consapevole della responsabilità nei campi della carità e dell’evangelizzazione, che aiuta offrendo la propria disponibilità, mettendo a disposizione competenze, generosità, creatività».
Guardiamo ora ai giovani, che spesso soffrono un disagio e un futuro senza troppe speranze (lavoro instabile, famiglia difficile da creare, salari inadeguati, ecc.). Come fare in modo che i giovani siano davvero protagonisti del futuro (e del presente) della società e della Chiesa?
«Io credo che al di là di tutte le esigenze materiali e tutti i bisogni sociali che ci sono, sia importante dare ascolto alle domande che hanno nel cuore. Che non significa proporre soluzioni immediate, “magiche”, perché non ci sono. Piuttosto vuol dire far sentire i giovani importanti, come sono effettivamente. E proprio perché li riteniamo persone di grande valore li ascoltiamo e siamo a loro fianco. Quando hanno bisogno di un consiglio, di un punto di riferimento, sta a noi adulti offriglielo con la nostra presenza umile, silenziosa, riservata, ma costante».
A proposito di vicinanza, Papa Francesco invita ad “aprire processi più che occupare spazi”. Di processi, qui in Friuli, lei ne ha già avviato qualcuno, per esempio con “Rondine” per la promozione della pace. Di quali altri processi sente il bisogno?
«Credo sia importante che associazioni o gruppi che fanno tante cose molto belle si mettano in collegamento fra loro. Io cerco di avere questa attenzione da molto tempo, facendo incontrare le persone che hanno gli stessi valori, le medesime tensioni a livello educativo, formativo, caritatevole. Sento questa responsabilità, in modo tale che ci sia una sinergia tra le diverse realtà istituzionali e di volontariato».
Il 29 dicembre anche nell’Arcidiocesi di Udine si aprirà solennemente il Giubileo 2025. In che modo vivere al meglio l’Anno Santo?
«Avremo diversi appuntamenti, quello appena ricordato di domenica 29 dicembre alle 16 in Cattedrale sarà il primo, ma poi ne vivremo anche altri nelle varie Foranie, nelle Collaborazioni pastorali. Saranno momenti centrati su aspetti diversi della vita delle nostre comunità, dalla dimensione più spirituale fino a giungere alla carità. Ci saranno anche occasioni di pellegrinaggio locali, in alcune chiese che abbiamo individuato, dove si potranno vivere momenti significativi di preghiera e ricevere il dono dell’indulgenza».
L’agenda giubilare sarà fitta, ma quali potranno essere i frutti di questo Anno Santo?
«Mi sembra che la cosa significativa sia che tutto deve essere un processo che mette in moto le diverse componenti delle nostre comunità: le famiglie, i giovani, le persone malate, gli anziani, ecc., in modo tale che si possa vivere questo anno, come sottolinea il Santo Padre, ricevendo il dono della speranza e portandolo nelle comunità e nei territori».
Siamo vicini al Natale. Tre auguri per i fedeli friulani?
«Innanzitutto poter vivere questi prossimi giorni nelle comunità cristiane di cui ciascuno è partecipe; poi di viverli nelle famiglie. Infine di avere un’apertura alla pace, che non deve essere soltanto a livello internazionale, ma che deve rispecchiarsi anche nelle nostre comunità con una capacità di accoglienza dell’altro che è sempre, sempre, un’occasione per scoprire il mistero di Dio che si incarna ancora una volta nelle nostre vite e nelle nostre storie».
Giovanni Lesa