Abbonati subito per rimanere sempre aggiornato sulle ultime notizie
L'editoriale

Il 1945 e oggi

Gli anniversari servono spesso solo per le celebrazioni e non per serie e approfondite riflessioni. Quest’anno, l’ottantesimo degli avvenimenti che cambiarono nel 1945 il corso della storia dell’Europa, dalla liberazione di Auschwitz e la scoperta dell’inferno pianificato da Hitler il 27 gennaio, fino alla caduta dei regimi nazista e fascista e la fine del conflitto europeo agli inizi di maggio, ci obbliga tutti a una pausa di riflessione e a uno sguardo non superficiale anche al presente.
Due sono gli atteggiamenti che normalmente assumiamo riguardando all’incredibile sequenza di avvenimenti che ebbero luogo nella primavera di ottant’anni fa. Da un lato, colti dallo smarrimento del corso del tempo, riflettiamo per consolarci che tutto ormai è diverso, il mondo è cambiato, la storia non si ripresenta mai con lo stesso volto e l’uomo non può ricadere nel cratere in cui precipitò allo scoppio della lunga guerra civile europea nel 1914 e dal quale miracolosamente riuscì a risalire nella primavera 1945.
Da un altro lato, tendiamo invece a pensare al passato come un qualcosa destinato inevitabilmente a ripetersi, siamo spinti a considerare il tempo come qualcosa di immoto e irreparabile. Anche questa è una reazione di autodifesa: il fascismo eterno, l’ineluttabilità del malvagio, l’idea che tutto torni e che la storia sia ciclica e dunque ripetitiva sono forme anch’esse di autoprotezione, alle quali ricorriamo istintivamente. Entrambe queste reazioni ignorano però quello che è stato uno dei valori fondamentali che hanno permesso di costruire la nostra civiltà: il senso della storia.

Pur nelle sue contraddizioni, pur essendo facilmente manipolabile e diversamente interpretabile, la storia ha come senso implicito quello di spingere l’uomo ad agire in modo consapevole e responsabile. Non “magistra vitae”, quanto piuttosto istruttrice per affrontare la complessità del presente, disciplina che più e sopra ogni altra ci abitua a ragionare in maniera approfondita e razionale, e può dunque – se lo vogliamo – spingerci ad agire per il meglio.

Cosa ci dice, allora, la storia dell’Europa, vista dalla prospettiva del 2025? Due cose, sopra qualsiasi altra.

Prima di tutto: o l’Europa esce unita, tutta assieme, dagli abissi della storia, oppure è destinata a ricadervi per sempre. Così è stato per il nazifascismo, così è stato per il socialismo sovietico: quando le risposte sono state di una sola parte, prevaricatorie e impositive, le soluzioni sono fallite (si pensi alle conseguenze economiche della Conferenza di Versailles alla fine della Grande Guerra). Quando invece la via d’uscita è stata trovata in modo concorde – ad esempio con la coraggiosa decisione di accogliere nell’Unione molti ex paesi comunisti nel 2004 – si sono evitati i pericoli maggiori per la stabilità dell’intero continente.

La seconda riflessione (il secondo insegnamento) a cui ci spinge il ricordo dei fatti del 1945 è che qualsiasi conquista non può essere considerata un punto di arrivo ma solo il mattone di una costruzione continuamente in corso. La mia generazione, quella nata dopo la fine del conflitto mondiale, è cresciuta in questi decenni in un’Europa di pace, assistendo con preoccupazione (ma anche con egoismo) allo scatenarsi di conflitti altrove, in giro per il mondo. Nessuna conquista civile, tuttavia, può considerarsi definitiva, nessun avanzamento può purtroppo dirsi irreversibile. Lo vediamo oggi alle porte dell’Europa e del Mediterraneo, dove concetti che noi credevamo assodati da tempo faticano non solo ad imporsi ma financo ad essere comunicati e capiti. Lo vediamo nel ripetersi delle violenze, nel risorgere di simboli e atteggiamenti mortiferi, nell’elevazione della diseguaglianza come valore.

A ottant’anni dal 1945 il ricordo delle tragedie e delle speranze di quell’anno cruciale impongono ad ogni persona di buona volontà di trasformare le proprie paure in un impegno più forte e consapevole di attenzione, di riflessione, di costruzione.

Andrea Zannini

Storico (Università di Udine)

Articoli correlati

Cristiani, unità dal basso

«Perché tutti siano una sola cosa» (Gv 17,21) è la preghiera che dopo l’ultima cena il Signore Gesù fa al Padre prima della sua passione gloriosa invocandolo come dono per i suoi discepoli. Questa preghiera ogni anno viene…

La pace non è calcolo

Lo dobbiamo ammettere: da cultori della geopolitica da divano, ci stiamo abituando a immaginare la pace come il risultato dei calcoli della diplomazia, come un punto di precario equilibrio tra forze economiche e militari.…