Dopo un 2023 poco esaltante, il 2024 è stato definito “l’anno orribile” per l’apicoltura in regione. L’hanno confermato i numeri. In particolare, nella provincia di Udine, il raccolto complessivo di miele ha visto una contrazione tra il 70 e l’80% (rispetto agli ultlmi 30 anni), con punte ancor più negative per il miele d’acacia. In questo caso la produzione si è addirittura azzerata. «Due annate disastrose», le ha definite senza mezzi termini Marco Felettig, presidente del Consorzio apicoltori della provincia di Udine, agronomo, libero professionista che ha un’azienda agricola con 180 alveari nell’area del Medio Friuli. Sono 700 i suoi “colleghi” associati al Consorzio, e tutti insieme allevano circa 24 mila alveari. Cioè il 66% delle famiglie di api in regione, mentre in tutto il territorio del Fvg si contano 1800 apicoltori che gestiscono 38 mila alveari.
Un settore che di certo non può dormire sonni tranquilli. E proprio per parlare e confrontarsi con esperti sulle problematiche che potrebbero far sparire un comparto già messo in ginocchio, il Consorzio apicoltori della provincia di Udine ha promosso un meeting, domenica 26 gennaio, ospitato all’Istituto salesiano Bearzi di Udine, dal titolo più che mai esplicativo “Un nuovo futuro per un’apicoltura sotto pressione. Clima, nuovi parassiti e mercato richiedono strategie inedite”, al quale ha partecipato anche l’assessore regionale alle Risorse agroalimentari, Stefano Zannier.
Presidente Felettig, innanzitutto come stanno le api in questo momento?
«Tutto sommato stanno abbastanza bene, questo è il periodo di letargo e, dunque, di riposo, così restano negli alveari e pensano ad alimentarsi con le scorte che l’apicoltore ha lasciato per l’inverno, scaldandosi una con l’altra. Certo, hanno davanti a loro delle sfide, alcune già in atto come i cambiamenti climatici che speriamo riescano a superare con la loro resilienza».
Oltre al clima, che altre sfide?
«Alle porte c’è un nuovo acaro che sta arrivando sempre dalle zone orientali, un problema che potrebbe sommarsi a quelli causati dai parassiti già presenti. Oltretutto, per l’innalzamento delle temperature che li fa spostare, ci sono dei calabroni che si cibano delle api. Singolarmente sono tutte questioni affrontabili, ma la loro somma potrebbe mettere in serie difficoltà i nostri imprenditori».
L’annata passata non ha portato grandi produzioni di miele. E addirittura si è azzerata quella del miele d’acacia. Come mai?
«Prettamente per condizioni climatiche: con primavere troppo fredde e piovose le api sono poco propense ed inclini al volo, quindi ad uscire a bocchinare i fiori. In più anche i fiori che, sotto determinate temperature hanno una bassissima secrezione nettarifera a causa di enzimi che all’interno della pianta non fanno secernere lo zucchero nel nettare, per quanto belli sugli alberi non sono attrattivi».
Il vostro grido d’allarme è stato ascoltato…
«Per far fronte alle perdite l’Amministrazione regionale ha previsto un contributo straordinario a favore delle aziende apistiche che hanno più di 50 alveari. Siamo la prima Regione, e fino a un mese fa l’unica, ad aver dedicato un occhio di riguardo al settore».
Fare l’apicoltore di professione oggi è un mestiere un po’ complicato, di sicuro non si diventa ricchi?
«Questo è sicuro, ma credo che ormai nel mondo moderno chi lavora non può pensare di diventare ricco. Però vivere di apicoltura si può. Il bello di questa attività è che oltre alla parte economica, un apicoltore, svolgendo il proprio lavoro, fa anche del bene all’ambiente. Poi tutti gli apicoltori sanno che le api hanno una regola base, per cui se all’alveare, se all’ape dai, se la segui, lei è molto brava a restituirti quello che tu hai dato»…
L’intervista completa, a firma di Monika Pascolo e Valentina Pagani, è pubblicata sul settimanale “la Vita Cattolica” del 29 gennaio 2025.