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L'editoriale

Quando il tifo è tossico

Era una brutta malattia il tifo: pareva debellata. Ma ormai lo sappiamo bene (SARS-CoV-2 docet), virus e batteri si modificano, si disperdono, si infiltrano laddove trovano terreni fertili per la loro sopravvivenza. Pare così che l’ormai l’innocua salmonella abbia trovato un ottimo habitat in alcuni cervelli, provocandone un evidente stato di delirio. Che il tifo sportivo abbia un che di patologico, lo aveva a suo tempo appurato un tifoso doc come Pasolini: “Il tifo è una malattia giovanile che dura tutta la vita”. E da cui -aggiungiamo noi- è inebriante farsi contagiare, perché tifare è una passione tormentata e gioiosa che colora la nostra esistenza. Il problema è che in alcuni casi lo stato di infermità si aggrava tragicamente. Come altro si può descrivere ciò che è accaduto a Basiliano poche sere fa? E come altro si possono definire i commenti febbricitanti sparsi sui social? In succinto basti ricordare che mesi fa, al termine di una sciagurata Venezia – Udinese, lungo le calli della Serenissima vi fu una caccia ai friulani. Andò come andò. Niente e nessuno si prese la briga di indagare (ma nemmeno di denunciare) e parve che, more solito, i “furlani” avessero inghiottito l’onta e guardato avanti. Non è stato così. Perché -ahimè- mutano i batteri, mutano i virus, ma mutano anche usi, abitudini e comportamenti. Pare ad alcuni, benedetti da pura e intoccabile fede bianconera, che ormai spetti ai friulani rimettere a posto il mondo, ma non più secondo le regole della corretta convivenza sociale. Quelle ormai sono state sdoganate, anche per (de)merito di buona parte di donne e uomini di potere. Ora la regola è quella del Far West, ovvero una corsa a scavalcare istituzioni e percorsi di legge, perché è ora di finirla: la giustizia me la faccio da me! Quale giustizia poi? Ripagare con spranghe e mazze da baseball l’onta subita mesi fa in laguna. E magari  un domani anche quelle subite dai vesuviani. “Chi ci tutela quando quelli abituati a vivere come le scimmie ci devastano lo stadio? Sotans forever o fasin di bessoi?”, proclama sui social un tale che non solo non ha il coraggio di metterci il nome, ma addirittura osa un soprannome scrivibile, ma non pronunciabile: Dee Oboe. Insomma, pensate un po’: i tifosi del Napoli si sono permessi di festeggiare uno scudetto che aspettavano da anni sotto la curva dei nostri boys. Un atto talmente grave che non può essere ripagato che con martellate, cinghiate e botte da orbi. Risultato? Se prima il mondo friulano era considerato silenzioso, defilato, un po’ provinciale, ma onesto, pulito e rispettoso, ora passa per violento e razzista. Non è vero, ma questa è -volenti o nolenti- la nostra nuova immagine. Ci sono attenuanti? Sì, certo: la Federazione che dorme non riuscendo a prevedere l’acrimonia tra le due tifoserie e quindi non prendendo i relativi provvedimenti. Ma, appunto, è un’attenuante, non una giustificazione. E non lo è nemmeno la chiosa del nostro spregiudicato Oboe: “Non ci avrete mai come volete voi”. E invece mio caro Oboe del piffero è proprio così: adesso anche noi friulani siamo, grazie a te/voi, come tutti gli altri, tutti quelli per cui il tifo è andato ben oltre le soglie di una malattia benigna.

Paolo Patui

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