Punta l’auto a est, supera Cividale. La strada è ancora pianeggiante, fino a quel passaggio sul Natisone, muost nella parlata locale, un ponte che a tutti gli effetti è una porta di ingresso verso un territorio di mescolanze. Oggi dure e felici come un secolo fa, ma che nel Novecento sono state foriere di ferite e dolori. Là, sulle creste e sui pochi passi, un confine spinato coincideva con quello di due mondi. Est e ovest.
Martedì 5 febbraio quel ponte è stato attraversato da mons. Riccardo Lamba, arcivescovo di Udine, che assieme ai sacerdoti delle Valli del Natisone ha visitato le comunità che vivono al di là del muost, ma al di qua del confine non più così poroso come qualche tempo fa. Per conoscere, per imparare. Ma soprattutto per ascoltare. «Venendo in auto notavo che già spuntano le primule», ha detto l’Arcivescovo. «È il primo fiore che sbuca a primavera ed è tenace, resistente. Come le vostre vite. Ma nella vita non è tutto è facile, la vostra storia lo dice. Come le primule, resistete e portate nel mondo la bellezza che siete!»

Valli del Natisone: tre parroci e due collaboratori
Di primule ce ne sono già molte, nei prati della Benecia, le Valli del Natisone. Che mons. Lamba ha solcato fin dal primissimo pomeriggio, recandosi a Montemaggiore in vista privata all’anziano parroco don Natalino Zuanella. Ad accompagnare il presule, il parroco coordinatore della Collaborazione pastorale valligiana, don Alessandro Fontaine, e il direttore del locale Consiglio pastorale Fabrizio Floreancig. Don Zuanella (a Savogna e Tercimonte) e don Fontaine (a San Pietro, Antro, Brischis ed Erbezzo) sono due dei tre parroci in servizio in queste vallate: il terzo è don Michele Molaro, parroco a San Leonardo, Drenchia, Liessa, Stregna e Tribil Superiore. A coadiuvarli, don Giorgio Fabro e mons. Davide Larice. Più a sud, a Prepotto, nella CP di Cividale, c’è il francescano Paolo Cocco da Castelmonte. Non ci sono altri preti in tutte le Valli del Natisone.

SMO, immersione nella storia
La visita ufficiale alle Valli del Natisone è iniziata al museo SMO di San Pietro al Natisone. Accolto dal presidente dell’Istituto per la cultura slovena, Giorgio Banchig, mons. Lamba ha avuto modo di soffermarsi dinanzi alle installazioni multimediali del museo, che con tecnologie odierne tracciano la storia di secoli e secoli. Le parole dell’arch. Donatella Ruttar hanno permesso ai presenti di camminare sui passi di una storia di sofferenze, ma con un grande desiderio riscatto. «Il confine, un tempo tranquillo, nel Novecento è diventato un luogo di vergogna. Quando gli slavi sono diventati comunisti, anche noi siamo diventati “sporchi”. L’essere sloveni è divenuto un disvalore, così come parlare lo sloveno». Quale sloveno, poi? Ben sette sono i “paesaggi” che si alternano nelle contrade slavofone della nostra regione, da Tarvisio fin giù a Trieste. «Con altrettanti varianti linguistiche e modi diversi di abitare. Tutto però con un unico carattere che possiamo definire “identitario”», ha ripreso Ruttar. Una rapida visita alle installazioni, peraltro molto innovative, del museo. «Più che un patrimonio, qui è conservata un’anima. Ogni parlante che muore cancella buona parte di una storia che difficilmente diventerà futuro. Serve che questa cultura acquisisca di nuovo il suo valore».

Il Vespro a San Leonardo. «Slavimo te, Gospod Jezus»
La luce del tramonto allunga l’ombra delle piccole, tenaci, primule. È l’ora del vespro, tempo di preghiera. Ma non qui a San Pietro: in auto si passa l’Alberone – uno dei quattro fiumi della Benecia – e si sale verso l’antica chiesa di San Leonardo abate. Sono le 17: l’impossibilità di trovare parcheggio, tante sono le auto in sosta nei pressi della chiesa, dice l’attesa di queste comunità per la visita del loro pastore, nonostante l’orario lavorativo. Chiesa gremita. Campane a festa – sarà anche mercoledì, ma è festa davvero –, l’ora è quella del Magnificat che risuona nella parlata locale. «Moja duša poveličuje Gospoda». Il culmine spirituale della visita. Seguito da altro ascolto: le signore del paese che raccontano delle pecore, gli anziani della valle che ricordano la precedente visita di un Vescovo, alcuni giovani rientrati in anticipo dal lavoro. La storia e la cultura non sono solo cosa da museo, sono parte viva dalla quotidianità.
I sindaci: «Fondamentale il ruolo dei parroci»
Le primule già non si vedono più, il sole è sceso dietro al monte Karkoš, tra Azzida e Purgessimo. È la sala consiliare di San Leonardo, a Merso, che ospita l’incontro finale della visita di mons. Riccardo Lamba. Le strette di mano, stavolta, sono per sindaci e rappresentanti delle sei amministrazioni comunali della Collaborazione pastorale valligiana, oltre a numerosissimi esponenti di associazioni – soprattutto culturali – attive nella locale comunità.
«La sua presenza è un grande evento per noi e per tutte le Valli». A fare gli onori di casa è Antonio Comugnaro, sindaco di San Leonardo e presidente della Comunità di montagna del Natisone e Torre. «Negli anni abbiamo avuto nella Chiesa un punto di riferimento irrinunciabile. Ancora oggi i tre parroci sono un presidio fondamentale nelle Valli. Qui c’è voglia di restare nonostante i problemi, primo tra tutti l’inverno demografico. Non vogliamo arrenderci», ha detto Comugnaro.

Al “collega” si è unita la voce del sindaco di San Pietro al Natisone, Cesare Pinatto. «Vorrei dire grazie ai parroci per il loro servizio, che non ha solo carattere religioso», ha affermato. E rivolgendosi a mons. Lamba, Pinatto ha chiesto «Tre benedizioni: per la ricerca di inclusività con la comunità slovena, perché permanga a lungo il clima di serenità tra i comuni delle Valli e perché cresca sempre più la collaborazione con i nostri amati parroci».
Unanime il sindaco di Grimacco, David Iurman: «Dove non ci sono attività commerciali, resta la Chiesa», ha affermato. «Credo che la Chiesa non sia un riferimento solo per la fede, ma anche per il ritrovo della popolazione. Un esempio sono i giovani, per i quali si sta facendo un gran lavoro. Importante è anche il lavoro delle associazioni del territorio». «Ciò che ci contraddistingue è la cura del territorio e dell’ambiente» ha affermato Caterina Dugaro, assessora alle politiche sociali e all’associazionismo del comune di Stregna. «Ciò significa curare le relazioni intergenerazionali, è fondamentale».
Le richieste dei sindaci e della società civile
«Cerchiamo con difficoltà di tenere aperte le scuole e sostenere progetti sanitari. Ma ciò non basta». Parola di Antonio Comugnaro, presidente della locale comunità montana. «Puntiamo a un turismo che non sia di massa, ad agricoltura di qualità, a una vivace imprenditorialità giovanile. Per questo serve una defiscalizzazione di queste zone».
«Se vogliamo puntare sul turismo, c’è bisogno di servizi essenziali quali la telefonia e la viabilità» ha affermato dal canto suo Camillo Melissa, sindaco di Pulfero. «Il nostro comune ha 54 frazioni, la più distante (Montefosca) è lontana 18 chilometri. Oltre ai servizi, anche la presenza dei preti è fondamentale».
«Lei è medico e io infermiere» ha affermato il presidente della Pro Loco Nediške doline, Antonio De Toni, lanciando un appello: «Difendiamo assieme le strutture sanitarie di questo territorio!»
Nello stretto ambito ecclesiale, che in queste vallate si mescola come non mai al sociale, alcuni constatano come «Servirebbero sacerdoti madrelingua slovena». «Ad avercene di sacerdoti…», ha ribattuto l’Arcivescovo, non senza un velo di preoccupazione. «Magari… Dobbiamo lavorare anche su questo».
L’invito sul Matajur. «Cumbinin»
«Il nostro comune sorge sulle pendici del Matajur». Il comune è quello di Savogna e le parole escono dalla bocca del vicesindaco, Germano Cendou. «Mi auguro che il nostro parroco don Natalino Zuanella possa godere di buona salute ancora per diversi anni: serve una presenza di sacerdoti».
E poi l’invito: «Ogni anno la prima domenica di settembre ci riuniamo per una Messa nella chiesetta in cima al Matajur. Saremmo grati di ospitarla». «Non so come si dice qui da voi – ha sorriso Lamba –, ma in Friuli si dice “Cumbinin”. Se non è quest’anno sarà il prossimo!»
Le associazioni: tra timori e necessità di tutela
Numerosi, infine, gli interventi di altrettanto numerose associazioni del territorio, attive nei più svariati ambiti della cultura locale: dal canto tradizionale alla gastronomia, dalla lotta alla dipendenza dall’alcol all’economia, dalla cura della liturgia e del catechismo bilingue fino ai legami tra emigrati. Presenti anche esponenti di altri territori slavofoni, come la Val Canale e le Valli del Torre. Nella ridda di interventi le sensazioni si mescolano come le lingue di questo territorio: storie di ferite, desiderio di riscatto e di riconoscimento, timore per lo spopolamento, desiderio di preservare una cultura peculiare. Ma anche la consapevolezza di un ruolo determinante svolto dalla Chiesa e da molti preti di lingua slovena per il mantenimento della cultura locale anche negli anni della dura repressione fascista e post-bellica.
Anche per questo, come in un tacito accordo di unanimità, moltissimi hanno rinnovato l’invito all’Arcivescovo per un suo pronto ritorno nella Benecia. Al di là, s’intende, della Messa sul Matajur. «La aspettiamo alla nostra Novena del Natale, la Devetica Božična». «La terza di ottobre a Tribil Superiore c’è il Burnjak: la attendiamo alla Messa, magari in suffragio di don Emilio Cencig nei 100 anni dalla sua nascita». «Gli ospiti della casa di riposo di San Pietro l’aspettano di nuovo tra loro».
«Fatemi raccogliere le vostre richieste – ha concluso l’Arcivescovo –: negli anni che resterò in Friuli prima o poi verrò con piacere a trovare le vostre comunità. A me piace vedere, conoscere, approfondire, quindi vi prometto che ritorno!»
Un Padre di tutti
Che effetto può fare pregare il Padre Nostro insieme, tra persone impegnate nella Chiesa e nella politica, nelle associazioni e nella scuola? Un gesto di fratellanza potentissimo. Ulteriormente amplificato in quel tardo pomeriggio a Merso. «Concludiamo così» ha suggerito infatti l’Arcivescovo. «Preghiamo il Padre nostro sottovoce. Ma ognuno nella parlata che sente più sua». E via: Padre nostro… Oče naš… Pater noster… Un passante avrebbe notato un insolito brusio indistinto. Ma le orecchie del Signore devono essere ben più acute e capaci di cogliere la fratellanza che si è respirata in questo splendido angolo dell’Arcidiocesi. «Vi invito a rinnovare momenti come questi» ha concluso mons. Lamba. «Continuate a incontrarvi alcune volte all’anno!»
«Hvala! Grazie!» ha sussurrato una voce. «Torni tra noi».
Giovanni Lesa