Il suicidio assistito è legge. Regionale, per ora, ma è legge in Toscana. Per la prima volta in Italia. In deroga a un principio come quello costituzionale del diritto alla salute. Il Consiglio regionale toscano lascia spazio alla facoltà depenalizzata di chiedere e ottenere la morte medicalmente assistita come prestazione ordinaria garantita da sanitari delle istituzioni pubbliche. Il progetto di legge di iniziativa popolare promosso dall’Associazione Luca Coscioni è stato, per la verità, solo parzialmente recepito. In precedenza, però, era stato rigettato in altri quattro Consigli regionali (Veneto, Friuli-Venezia Giulia, Piemonte e Lombardia). La riflessione è ripresa anche in Friuli, e l’arcivescovo mons. Riccardo Lamba ha ritenuto doveroso proporre una chiarificazione.
«Quella del “fine vita” è una questione molto delicata – ha dichiarato a Vita Cattolica e Radio Spazio –. La vita è un dono prezioso di Dio e merita di essere vissuta e accompagnata dal concepimento, poi lungo la crescita, l’età dello sviluppo e fino alla morte naturale. Questo è il valore fondamentale. Detto questo, piuttosto che pensare a come assecondare un’interruzione della vita anche in condizioni drammatiche (come ce ne sono davvero tante) è importante sostenere la cura. Per esempio, dovremmo pensare di aumentare i contributi economici per sostenere le cure di queste persone e sostenere le loro famiglie. Pensiamo anche al tema dei “caregiver” e del sostegno alle famiglie che si trovano a gestire questo tipo di sofferenze; ma pensiamo anche a tutte le fragilità, le disabilità, le persone anziane. Tutte devono essere sostenute». Questo, ha precisato mons. Lamba, «non vuol dire promuovere l’accanimento terapeutico perché la vita deve essere vissuta con dignità in ogni momento, pur senza pensare che risolviamo “il problema” interrompendola. Tutto ciò che può aiutare la cura e il sostegno alle famiglie deve essere il più possibile ampliato».
L’Arcivescovo ricorda che «nella stessa pastorale sanitaria si è molto attenti a non eccedere nelle cure in modo disumano o artificioso. Questo comporta, ovviamente, un investimento culturale e materiale sulla tutela della vita e sulla cura, che non sempre è stato fatto: sicuramente in questo si può fare di più».
Francesco Dal Mas