Cresce in gran parte della popolazione la consapevolezza di vivere in un’epoca di grandi cambiamenti climatici. Essi, a differenza di quelli dei secoli scorsi, sono causati da noi esseri umani e dalle nostre attività. Le conseguenze sono sotto gli occhi di tutti: incendi mai così prolungati, estesi e devastanti; alluvioni e inondazioni, a cui fanno da contrappasso siccità estreme in altre aree del pianeta. Ci stiamo abituando a dover far fronte con sempre maggiore frequenza ad eventi meteorologici estremi: uragani, cicloni, tornado…
Anche nelle carceri si vivono grandi cambiamenti “climatici” causati da noi esseri umani e dalle nostre attività: essi non sono meno sconquassanti di quelli atmosferici. Le conseguenze sono che di punto in bianco ci si ritrova catapultati in un ambiente claustrofobico, in compagnia di chi non si è scelto, con innumerevoli difficoltà e complicazioni quotidiane da affrontare, con tanta maggior fatica quanto più esse appaiono immotivate o pretestuose.
Come “gestire” questi uragani esistenziali? Dove trovare forza ed energia per non soccombere al ciclone-prigionia che rischia di trascinare nel suo mulinello ogni fibra di noi stessi e ogni atomo di speranza?
Con discrezione lascio la parola a Lino (nome di fantasia) e alla sua esperienza, così sintetizzata in una lettera:
“…Ad un certo punto la vita ti travolge con la forza di un tornado, ti travolge così forte che non sai nemmeno se riuscirai a rialzarti.
Da certe situazioni ne esci un po’ con la schiena rotta, il cuore a pezzi, la fiducia inesistente. Eppure è solo la vita che fa il suo corso, che ti scuote un po’, giusto per ricordarti che sei vivo. E che è proprio perché sei vivo, che dalla vita devi prenderti tutto, anche gli schiaffi in faccia.
Perché ti assicuro che poi, da quelle ceneri, io rinascerò. E mi sembrerà di avere gli occhi più aperti che mai, così aperti dopo quest’esperienza, che vedrò cose che prima non notavo, vedrò i colori più intensi.
Ed è con questa stessa intensità che riprenderò a vivere, con l’intensità di quel tornado che mi ha travolto, che mi ha insegnato a fare a botte, a voler illuminare tutto.”
Con tutto il cuore auguro a Lino di poter uscire indenne dall’occhio del ciclone, rinato e pronto a vivere la vita di fuori con nuovi occhi e nuova intensità. Mi dà ragioni di speranza sapere che il Signore gli è vicino, è la cintura di sicurezza che Lino tiene ben allacciata in questo tempo di forte turbolenze, e che gli dà modo di essere testimone di fede anche in un ambiente ostico come il carcere. Lo attesta bene il post scriptum con cui conclude la sua lettera:
“P.S. P. Claudio, sono orgoglioso di me: sono riuscito a portare con l’amore di Dio a Messa due ergastolani, che quando sono arrivato qui e dicevo che andavo a Messa, mi prendevano in giro, e adesso tutte le domeniche vengono con me e leggono la Bibbia. Le vie del Signore sono infinite…”
p. Claudio Santangelo C.M.
Cappellano, casa circondariale di Tolmezzo