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Mons. Lamba sul “fine vita”: «La vita è dono. Siamo chiamati a viverla in pienezza»

«Nessuno può autodeterminare da solo la propria esistenza come nessuno può prendersi a carico la nostra esistenza in un modo paternalistico». Lo ha affermato mons. Riccardo Lamba, offrendo un ulteriore contributo al dibattito sul “fine vita” riaccesosi in questi ultimi giorni. L’Arcivescovo, che è anche delegato tra i presuli del Nord-est alla pastorale della salute, ha affermato che «In una visione della persona che ha come cardine la consapevolezza che la vita è un dono (del tutto gratuito da parte di Dio), siamo chiamati a vivere in pienezza in tutte le sue fasi: la nascita, lo sviluppo, la piena vitalità, fino agli ultimi momenti dell’esistenza terrena. Significa vivere nel pieno rispetto della dignità del dono che ci è stato fatto. Come ogni alba e ogni tramonto sono diversi e non ce ne sono mai due uguali, così le vite di ciascuno e ciascuna».

Lamba: «Tutti possono essere curati. No all’accanimento»

Una visione tutta bianca o tutta nera non è nelle corde dell’Arcivescovo, che anche grazie ai suoi studi in campo medico preferisce che lo sguardo si ampli per abbracciare un tema davvero vasto e delicato. Ma che, nella complessità, trova alcuni appigli comuni a tutte le storie. «Le persone che hanno malattie gravi, spesso progressive e che non vanno incontro a processi di guarigione, possono sempre essere presi in carico dall’assistenza sanitaria. Tutti i malati quindi possono essere curati. E tutti sono persone, non numeri o “probabilità”. Questo apre a un ulteriore tema: la sofferenza di chi vede volgere al termine la propria vita». Il riferimento dell’Arcivescovo, in questo caso, è alle cure palliative e al crinale delicato che le separa dall’accanimento terapeutico. «Per quanto le cure possono essere importanti non devono mai diventare accanimento, ma non devono nemmeno seguire il criterio dell’abbandono terapeutico», ha riconosciuto. «In questo c’è il grande tema del “prendersi cura” e di aiutare la comunità a prendere delle decisioni sanitarie per migliorare sempre di più la presa in carico di queste persone con le cure di cui c’è bisogno. Oggi si parla tanto delle cure palliative che devono essere sempre più attente: in questo i vari dispositivi medici e tante altre componenti dell’assistenza sanitaria possono aiutare».

La persona malata al centro di una rete

Oltre alla capacità di una società di prendersi cura di questa forma di fragilità, ciò che all’Arcivescovo sta a cuore è che la persona in condizioni di malattia non sia lasciata sola nelle sue decisioni. «Ci deve essere un continuo dialogo tra la persona e il personale di assistenza, il personale sanitario, ma anche la famiglia e i servizi sociali. In questo continuo dialogo è possibile proporzionare tutte le cure di cui la persona ha bisogno. È importante non attendere gli ultimi giorni, ma che si inizi da tempo. Nessuno di noi può arrogarsi il diritto di dominare né sulla propria vita né su quella degli altri».

«Si considerino tanti elementi»

Come ricorda Papa Francesco, la realtà è un poliedro di complessità e sfaccettature. Anche in situazioni estremamente delicate come quelle che riguardano la conclusione di una vita terrena. A detta dell’Arcivescovo, essere consapevoli di questo permette di fuggire dalla diatriba tra “bianco” e “nero”. «Mi auguro – prosegue ancora mons. Lamba – che nella riflessione di questi giorni si tenga conto di tutti questi elementi: la visione antropologica della persona, le possibili assistenze, cure e prese in carico e anche i bisogni della persona dai punti di vista fisico, psichico, spirituale e morale. E tutto questo – conclude – che vada nella direzione del bene della singola persona che in quel momento sta vivendo la sua sofferenza. Nessuno è un’isola».

Giovanni Lesa

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