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A 5 anni dal Covid. Ritiro sociale dei giovani? «Aiutiamoli a capire il perché»

«Il Covid – ed è una delle caratteristiche del trauma – ha creato “un prima e un dopo”. Improvvisamente ci ha esposto a una sensazione di pericolo, paura e incertezza. Nei momenti difficili, poter condividere quanto ci accade con qualcuno è un fattore di protezione, ma la pandemia ha minato profondamente questa possibilità, con la distanza fisica a cui ci ha costretto, la mancanza e addirittura la paura del contatto». A parlare è la psicoterapeuta Eva Pascoli, 46 anni, di Ragogna, presidente dell’Ordine degli Psicologi del Friuli-Venezia Giulia, dirigente psicologa della Soc di Oncologia dell’AsuFc-Azienda sanitaria universitaria Friuli Centrale, docente dell’Istituto di specializzazione in psicoterapia sistemica familiare e relazionale “Naven” di Udine. A cinque anni dal primo caso di Covid registrato in regione – era il 29 febbraio 2020 – oltre alle conseguenze sanitarie, ci sono anche quelle sociali, nonché gli strascichi sulla salute mentale.

«Non voglio dimenticare che l’essere umano ha grandi capacità di adattamento, anche a situazioni difficili – aggiunge Pascoli –; purtroppo siamo stati costretti a rinegoziare le modalità di socializzazione, è stata una ripresa lenta e controllata e ciò è stato particolarmente impattante per le fasce della popolazione giovane, che trovano nel rapporto coi pari il confronto e il motore di crescita».

Eva Pascoli

Dottoressa, isolamento e sensazione di sentirsi in trappola potrebbero aver fatto da acceleratore per la manifestazione di alcuni disturbi?
«Ritengo di sì. L’emergenza ha sicuramente creato un terreno buono, purtroppo, perché i disagi sotto soglia possano emergere. Esistono alcuni fattori di protezione che sono presenti come cuscinetti nella nostra vita: la rete familiare e sociale, la scuola, il lavoro, le attività che scegliamo per il nostro tempo libero. Quando non possiamo più accedere a queste dimensioni, ci sentiamo più vulnerabili e soli. Ed è in questi momenti che il disagio può avere più spazio e potere».

Tornando al periodo del Covid, il sentimento da tutti vissuto maggiormente è stato quello della paura. Paura di contagiare, di morire, di rimanere chiusi in casa. Che ripercussioni ha vivere un sentimento del genere e così a lungo?
«La variabile tempo fa davvero la differenza. Se un unico e isolato episodio di paura, per quanto traumatico, può essere superato grazie alla presenza di fattori di protezione o con un aiuto adeguato, l’esposizione prolungata alla paura finisce per modificare la percezione che abbiamo del mondo, del senso del controllo, di autoefficacia e del senso di sicurezza. Ed è una percezione difficile da smantellare».

Più studi mettono in luce che tanti giovani da allora cercano un aiuto psicologico. Che cosa chiedono in particolare? Di cosa hanno bisogno?
«I giovani manifestano principalmente disturbi d’ansia, depressione e problematiche comportamentali. Credo abbiano bisogno di ascolto, di comprensione, di sentirsi legittimati e normalizzati nei loro vissuti e di sentirsi meno soli. Il primo obiettivo non dovrebbe essere quello di eliminare il sintomo, ma di guidarli nel trovare un significato. Dare senso alle cose porta a una consapevolezza più profonda rispetto a chi siamo, a come funzioniamo e a trovare strategie nuove per la vita».

Anche i bambini hanno patito. L’isolamento e la chiusura delle scuole, lo stop a tutte le attività ludiche… Dal vostro osservatorio cosa è emerso in questo senso?
«Il guaio è stato che tutti eravamo spaventati. Gli adulti non hanno potuto funzionare da base sicura per i bambini, come invece dovrebbe essere, perché erano i primi ad avere paura e a sentire impotenza di fronte a ciò che non potevano controllare. Per i bambini, la preziosissima fase dell’apprendimento e del gioco nel contesto di condivisione con i pari è stata stravolta.
Però devo dire che, laddove gli adulti sono stati in grado di “tenere”, i bambini hanno goduto della loro presenza in modo nuovo»…

L’intervista completa, a firma di Monika Pascolo, è pubblicata sul settimanale “la Vita Cattolica” del 5 marzo 2025.

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