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Accessibilità, c’è tanta strada da fare. Servono formazione e incentivi

«Su 100 bagni realizzati ex novo oggi nei luoghi pubblici, sa quanti ne troviamo di veramente accessibili? Una decina, non di più! Anche sulla progettazione di un luogo così semplice si continuano a fare errori di ogni tipo: dalla posizione del maniglione all’uso di sanitari ultra sagomati, che molto spesso le stesse persone con disabilità reputano scomodi e che non sono obbligatori mentre i progettisti pensano di sì». A parlare è Michele Franz, referente del Criba (Centro Regionale di Informazione sulle Barriere Architettoniche), l’ufficio gestito dalla Consulta regionale disabili che si occupa di offrire consulenza proprio in termini di accessibilità, in un’ampia intervista pubblicata sulla Vita Cattolica dell’11 dicembre 2024 (qui un estratto). «Ogni anno facciamo circa 800 consulenze, di cui una parte dedicata proprio alla progettazione dei luoghi o edifici pubblici – spiega Franz – e osserviamo che, purtroppo, c’è ancora tanta strada da fare».

«Ultimamente il tema è diventato “mediaticamente” più rilevante e l’attenzione è cresciuta, ma questo non è sufficiente – aggiunge il referente del Criba –. Basti pensare che nei percorsi universitari di Ingegneria o di Architettura non esiste alcun esame obbligatorio che riguardi la progettazione accessibile. L’aspetto dell’accessibilità viene lasciato all’interesse di approfondimento del progettista e ad una serie di leggi che sono cogenti da vari decenni, ma che, se applicate con scarsa competenza o lette all’ultimo minuto prima di chiudere il progetto, rischiano di non essere risolutive rispetto alle possibili problematiche delle persone con disabilità. Ci sono progettisti che hanno a cuore il tema e che lo portano avanti in tutti i loro lavori, altri meno».

Dai bagni ai colori, gli errori più comuni

« Banalmente, è evidente che un ingresso non può prevedere esclusivamente dei gradini – continua Franz –, eppure rimane la prassi di lasciare spesso un gradino di due centimetri e mezzo che la norma ammette, ma che a tutti gli effetti è un ostacolo e una fonte d’inciampo per chiunque, e obbliga chi è in carrozzina ad impennare. Oppure l’utilizzo di pavimentazioni non corrette… C’è poi tutta una serie di aspetti di accessibilità legati alle disabilità sensoriali che spesso sono completamente ignorati. Per esempio tutto il tema dell’uso del contrasto cromatico nei luoghi: l’attenzione a segnalare un cambio di pendenza di una rampa cambiando il colore della pavimentazione o l’uso di colori diversi per il pavimento, le porte e le pareti, per rendere tutto più riconoscibile a chi ha una disabilità visiva lieve, penso anche ad un anziano che ha problemi di riconoscibilità della profondità dei luoghi. O tutto il tema delle disabilità sensoriali uditive: ad esempio la segnaletica di emergenza che non consista solo in allarmi acustici, ma mi dia anche un’informazione di tipo visivo per avvisarmi che devo evacuare il luogo… Sono tanti i temi che ancora oggi non vengono approfonditi…».

Formazione e incentivi

Secondo Franz, in una società che invecchia sempre più, per accelerare il cambiamento di mentalità sull’accessibilità servirebbe «sicuramente più formazione. E creare incentivi, premialità per invogliare a migliorare l’accessibilità dei luoghi. Perché se è vero che quello che è “nuovo” dovrebbe già essere tutto accessibile, e uso il condizionale non a caso – conclude l’esperto –, sull’esistente non essendoci obbligo di adeguamento l’unica strada perché ciò avvenga è renderlo allettante».

Valentina Zanella

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