Il tempo successivo alle vacanze per molti di noi è forse il periodo più stressante e impegnativo: riunioni, incontri, programmazioni, previsioni… dopo il meritato riposo, c’è da organizzare e preparare tutto per riprendere e iniziare, ancora una volta, le varie e numerose attività delle nostre comunità e dei nostri gruppi. Sottolineo, ancora una volta.
La sensazione, infatti, è che la ripresa e la programmazione debba in qualche modo essere vissuta come un’esperienza già conosciuta, ma con qualcosa di più: se lo scorso anno le cose non hanno funzionato, quest’anno saremo più bravi ed efficienti. Ma è proprio così che devono funzionare le cose? Spesso, anche nei nostri ambienti, la cifra di una proposta buona è legata alla sua efficienza e alla sua capacità di miglioramento: se siamo gli stessi dello scorso anno allora siamo stati bravi, se siamo di più allora abbiamo trovato la strategia migliore, se abbiamo coperto ancora una volta i buchi, allora possiamo restare sereni.
Iniziare un nuovo anno pastorale può rischiare di farci entrare dentro questa logica, ripetere gli stessi schemi e possibilmente essere più “bravi” rispetto a quello che è stato. A questo proposito mi vengono in mente le parole di Gesù nel Vangelo di Luca «Quando vedete una nuvola salire da ponente, subito dite: Viene la pioggia, e così accade. E quando soffia lo scirocco, dite: Ci sarà caldo, e così accade. Ipocriti! Sapete giudicare l’aspetto della terra e del cielo, come mai questo tempo non sapete giudicarlo?» (Lc 12,54-56).
Il Maestro ci fa capire che lo sguardo di chi ha fede va ben oltre a ciò che l’uomo può prevedere o immaginare, anzi spesso lo sguardo credente prende per buono e serio quello che apparentemente può sembrare “meno efficiente” di prima. Tuttavia, una domanda è lecita, si tratta di chiudere gli occhi di fronte alla realtà? Siamo sempre di meno e sempre più stanchi e forse stressati, che cosa significa “giudicare” questo tempo? Forse dipende dallo sguardo: noi cristiani non possiamo accontentarci di far funzionare le cose, ma dobbiamo chiederci se questo tempo così complesso, a tratti faticoso, lo consideriamo comunque un tempo in cui Dio parla e agisce.
Il bello è che le condizioni non le dettiamo noi. L’azione dello Spirito Santo è da noi favorito certo, ma non dipende da noi. Forse questo sguardo è quello più liberante: non si tratta di migliorare semplicemente le cose, offrire servizi migliori o altro, ma di vederle con gli occhi di chi è certo che il Signore coglie ogni istante del tempo e della realtà per manifestarsi anche se il tempo scorre e le cose cambiano, inevitabilmente. Credere così è semplicemente vedere il bello e il buono di Dio non nel passato da ripresentare o nel futuro da sognare, ma nell’oggi che viviamo. Altrimenti tutto dipenderebbe solamente da noi e dalle nostre capacità. Inizia un nuovo anno pastorale? Ringraziamo il Signore per il dono della vita e del tempo! Siamo più disillusi sulla realtà? Restiamo uniti alla fonte della speranza! Siamo un po’ di meno rispetto allo scorso anno? Ringraziamo il Signore di esserci senza perdere le nostre radici e contenti dei doni che riconosciamo nella nostra vita.
In fondo è proprio questo il senso del Giubileo in cui entreremo fra poche settimane, tempo di riconoscenza per affermare che la vita e il tempo sono un dono di Dio, di cui non siamo padroni ma amministratori. Qui sta anche la vera speranza: ogni nuovo anno pastorale, catechistico o solare non significa fare altro giro e un’altra corsa, uguale a quella precedente, ma proseguire un cammino bellissimo che ha una meta precisa, anzi una Persona precisa. Ce la vogliamo giocare? O restiamo a guardare?
Don Marcin Gazzetta