Abbonati subito per rimanere sempre aggiornato sulle ultime notizie
L'editoriale

Amor di patria europeo

La motivazione del conferimento della laurea magistrale honoris causa in Giurisprudenza al presidente della Repubblica Italiana, Sergio Mattarella, e all’ex presidente della Repubblica di Slovenia, Borut Pahor, da parte dell’Università di Trieste ricapitola puntualmente il percorso dei rapporti tra i due statisti, la loro visione sulle relazioni tra i due Stati nel contesto della travagliata eredità storica e le prospettive alle quali Italia e Slovenia tendono dare corpo nella costruzione dell’Europa dei popoli. I due statisti, si legge nella motivazione, «hanno interpretato l’amor di patria in una dimensione europea alta, così contribuendo a trasformare la frontiera adriatica, da territorio di aspro conflitto etnico e culturale, ad area di dialogo, di cooperazione e di amicizia, nella comune coscienza dei diritti umani e nella luce delle libertà democratiche».

L’evento di Trieste ha rappresentato pertanto l’ultimo atto di un lungo rapporto istituzionale e di intesa personale tra Mattarella e Pahor, culminato nell’omaggio reso il 20 luglio 2020 a Basovizza agli italiani sterminati nelle foibe e ai quattro antifascisti sloveni condannati a morte dal Tribunale speciale nel 1930, tutti vittime di due regimi totalitari nati dalla follia di opposte ideologie.

Mattarella e Pahor si sono caricati sulle spalle il peso di queste tragedie e hanno dato un grande contributo alla riconciliazione coltivando sentimenti di rispetto per le sofferenze subite da entrambi i popoli. Tenendosi per mano davanti ai due monumenti hanno plasticamente indicato la strada di una pacificazione che non dimentica cause, circostanze e responsabilità.

Come succede in alcuni settori non marginali della politica e della società dove, con il malcelato intento di mantenere aperti i contrasti e le tensioni ereditati dalla storia, serpeggia ancora la tendenza ad attribuire a una parte sola colpe ed efferatezze ignorando le ricerche storiche che negli ultimi decenni hanno ricostruito, per quanto possibile obiettivamente, le vicende che hanno segnato le relazioni tra italiani e sloveni.

Un contributo fondamentale in questo senso lo ha offerto il gruppo di storici italiani e sloveni che, su iniziativa dei ministri degli Esteri dei due Paesi, Beniamino Andreatta e Lojze Peterle, nel 1993 hanno intrapreso un lungo confronto sui rapporti tra i due popoli dal 1880 al 1956, sfociato in un documento unitario pubblicato nel 2001, sul quale però è calato il silenzio della politica e nessun governo italiano ne ha promosso la conoscenza e la diffusione né lo ha ufficializzato. Eppure quel rapporto è frutto di un metodo rigoroso e di un’analisi scrupolosa, condotta a viso aperto, confrontando dati e documenti, superando prevenzioni e preconcetti. Tutti i suoi contenuti sono stati approvati all’unanimità dagli studiosi al di là di ogni appartenenza.

Le relazioni di amicizia tra i popoli si costruiscono con la conoscenza reciproca, con la frequentazione costante, con la collaborazione concreta, con gesti e iniziative che facciano da traino, cambino la mentalità e la direzione della marcia. In questo senso la Chiesa Udinese è stata profetica promuovendo, assieme alle Chiese sorelle di Slovenia e Carinzia, fin dai primi anni Ottanta del secolo scorso gli incontri tra i tre popoli di questa parte d’Europa e, al suo interno, la collaborazione tra friulani e sloveni. Oggi si sente l’esigenza di riproporre entrambe le iniziative adeguandone contenuti e forme ai nuovi contesti anche al fine di offrire all’Europa l’indicazione di scelte alternative alla smania di riarmo che la sta percorrendo.

Giorgio Banchig

 

Articoli correlati

Musica, spazio dell’attesa

Ho provato molte volte ad immaginare quale potesse essere la reazione di un cittadino di mezza età di Lipsia, il giorno di Natale del 1734, nell’ascoltare il Vangelo di Luca che parla di angeli che cantano ai pastori “Gloria…