In Italia, secondo l’ISTAT, ben il 5% dei bambini che nascono, (peraltro sempre meno) è frutto della fecondazione in vitro, impiantando in utero embrioni mantenuti nel congelatore.
A metà febbraio, la Corte suprema dell’Alabama ha sentenziato che gli embrioni congelati non sono materiale biologico, ma esseri umani, titolari di diritti. Un’entrata a gamba tesa che rischia di mandare all’aria il business delle cliniche per la fecondazione in vitro negli Stati Uniti. Un oltraggio per coloro che, come l’Assemblée National Française, vorrebbero fare dell’aborto un diritto costituzionalmente garantito.
“La mia amica ha perso il bambino che portava in grembo”. È questa la frase che normalmente si ascolta quando qualcuno ci parla di un aborto spontaneo.
Lo stesso “bambino” viene declassato a “prodotto del concepimento” quando si parla di interruzione volontaria della gravidanza.
Quando poi si parla di fecondazione in vitro, il prodotto del concepimento diventa semplicemente un “embrione congelato”.
Ma qual è la differenza sostanziale (potremmo dire ontologica) tra le tre diverse condizioni? Nessuna. Si tratta sempre di un essere umano ad uno stadio di sviluppo molto precoce.
Esiste poi davvero una differenza sostanziale tra questo stesso “essere umano ad uno stadio di sviluppo molto precoce” e un bambino già nato, un giovane, un adulto, un vecchio o addirittura un morente? La risposta è ancora una volta: nessuna! Al giudice di Maryville in Tennessee che lo interrogava durante un processo sugli embrioni congelati, il grande genetista francese Jérôme Lejeune disse: “Non vedo alcuna differenza fra il piccolo essere che lei è stato e quello maturo che lei è attualmente” (“L’enceinte concentrationnaire: d’après les minutes du procès de Maryville”, Kindle Edition, 1989; In Italia “L’embrione segno di contraddizione”, Ed. Orizzonte Medico, 1992).
E a chi pretendeva che gli embrioni umani non fossero persone umane, portatori di diritti, Lejeune ripeteva lo slogan del movimento abolizionista della schiavitù negli USA: “A man is a man, is a man”. Dunque è uno di noi! Natura non facit saltus!In Alabama vige dal 1872 una legge, “Wrongful Death of a Minor Act”, che permette ai genitori di un bambino morto prima della nascita di fare causa per eventuali danni a chi ne abbia provocato la morte.
Con una maggioranza di 8-1, la Corte Suprema dell’Alabama ha deciso che i danni possano essere chiesti anche per la morte di un embrione congelato.
Secondo la Corte, il “Wrongful Death of a Minor Act si applica a tutti i bambini non nati, indipendentemente da dove essi si trovino”, cioè anche al di fuori dell’utero materno.
La domanda centrale in discussione è “se per bambini fuori dell’utero materno” (“bambini”, scrive la corte) possa esserci un’eccezione rispetto alle tutele previste dalla legge del 1872 per l’uccisione dei bambini in utero. La Corte Suprema dello stato ha scritto nero su bianco che la risposta a tale domanda fondamentale è no!
Se gli embrioni congelati sono bambini, essi non possono più essere considerati oggetto di proprietà, come generalmente ritenuto nelle controversie giudiziarie.
Una brutta notizia per il lucroso business dell’industria della riproduzione. Infatti, il centro per la fecondazione in vitro dell’University of Alabama at Birmingham ha subito avviato una pausa di riflessione, per evitare possibili incriminazioni.
Una brutta notizia anche per il portavoce del Presidente Biden (ma anche secondo Trump).
Una bella notizia, invece, per quanti ritengono che il diritto alla vita sia il primo dei diritti dell’uomo (San Giovanni Paolo II) e per coloro che pensano che la cultura dello scarto incominci con l’aborto (papa Francesco).
Gian Luigi Gigli