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Cattolici in politica, Russo: «Non un nuovo partito, ma una rete su valori e idee comuni». Incontro a Milano

«Abbiamo qualcosa da dire, ma non per difendere privilegi. No. Dobbiamo essere voce, voce che denuncia e che propone in una società spesso afona e dove troppi non hanno voce. Questo è l’amore politico». Sono passati quasi cinque mesi da quando Papa Francesco, a Trieste, pronunciò queste parole. Era domenica 7 luglio e il Santo Padre giunse nel capoluogo giuliano per suggellare la cinquantesima edizione delle Settimane Sociali dei Cattolici in Italia assieme ai mille delegati da tutto il Paese e, poi, nella Messa celebrata in Piazza Unità d’Italia. La stessa assise fu aperta pochi giorni prima dal Presidente della Repubblica: «Battersi affinché non vi possano essere “analfabeti di democrazia” – disse Sergio Mattarella – è una causa primaria, nobile, che ci riguarda tutti. Non soltanto chi riveste responsabilità o eserciti potere».

Francesco ai delegati di Trieste: «Dal parteggiare al partecipare»

Oggi queste parole paiono essersi avviate sulla strada della loro realizzazione. Dopo Trieste, infatti, si è messo in moto un dinamismo che a distanza di mesi sta facendo incontrare persone in tutta Italia. Una delle esperienze nate alla Settimana sociale è stata quella della “Rete di Trieste”, un gruppo di amministratori pubblici con formazione cristiana che sta sviluppando contatti e pensiero politico. Sabato 30 novembre e domenica 1° dicembre hanno avuto luogo due incontri della Rete di Trieste rispettivamente a Roma e a Napoli. Il prossimo 14 dicembre gli amministratori del Nord Italia convergeranno invece a Milano, alle 10.30, presso la Fondazione Ambrosianeum. «Noi viviamo un tempo di una polarizzazione nella politica, di uno scontro tra le diverse anime, la destra e la sinistra, che mette a rischio l’unità delle nostre comunità. Se c’è qualcuno che paga più di altri, sono proprio i cattolici impegnati perché noi siamo naturalmente donne e uomini del dialogo, della costruzione di soluzioni condivise. Possiamo superare la polarizzazione farlo con idee concrete per le nostre città e i nostri territori». Queste ultime sono parole di Francesco Russo, vicepresidente del Consiglio regionale del Friuli Venezia Giulia e, in questa sede, coordinatore della Rete di Trieste.

Francesco Russo, descriviamo la “Rete di Trieste”: chi vi fa parte oggi e chi può entrarvi domani?

«Monsignor Luigi Renna, presidente del Comitato Organizzatore della Settimana sociale, ha definito la rete degli amministratori “una sorpresa dello Spirito”. Ed è stato davvero così. Quando per la prima volta ci siamo dati appuntamento in Consiglio regionale a Trieste, durante la Settimana sociale, pensavamo di essere una ventina. Invece già allora si sono presentati quasi 100 amministratori da tutta Italia, trasversali rispetto all’appartenenza politica. Per la nostra regione c’ero io, che faccio parte dell’opposizione regionale, ma c’era il collega Andrea Cabibbo (Forza Italia), c’erano i colleghi Carlo Grilli e Carlo Bolzonello (Lista Fedriga presidente). Ed è stato bello perché è emersa la necessità di ciascuno di sentirsi un po’ meno soli.»

Alla Settimana sociale è nata la Rete di Trieste. Renna: «Dialogo per convergere sui valori»

In che senso una persona cattolica impegnata in politica è sola?

«Molti di noi fino a quando hanno vissuto l’esperienza del servizio in parrocchia, in un’associazione o nel proprio movimento ecclesiale, erano in qualche maniera coccolati nella propria comunità. È chiaro che nel momento in cui ci impegna in altri versanti il rischio è di perdere un po’ questi legami. Quindi il fatto di ritrovarsi e di ritrovare questo retroterra, di sapere di essere accompagnati dalla propria comunità anche con la preghiera e la riflessione, credo siano aspetti importanti.»

Quanti amministratori fanno parte, oggi, della Rete di Trieste?

«La chat è passata da poche decine a centinaia di persone attive in tutta Italia. E ci si può aggiungere: la Rete è aperta veramente a tutti.»

Oltre a contrastare questa “solitudine dell’amministratore”, quali altri obiettivi vi ponete?

«Sicuramente il primo obiettivo è alimentare il senso di speranza e di grande novità emersi soprattutto nella Settimana sociale. A trent’anni dalla fine della Democrazia cristiana e dal grande convegno ecclesiale di Palermo forse la Chiesa ha iniziato a non provare imbarazzo nei confronti della politica. In questi anni non abbiamo parlato di politica, l’abbiamo tenuta fuori dai nostri percorsi formativi togliendo ai ragazzi la possibilità di formare una fede matura di laici e laiche che sanno come stare nella comunità, nella città. Il Papa a Trieste ci ha detto che tutta la comunità è chiamata alla carità politica, seppure nella distinzione dei ministeri e dei carismi.»

Rete di Trieste: l’incontro svolto a Roma il 1° dicembre

Negli ultimi anni ci sono stati vari tentativi di avviare formazioni politiche di ispirazione cattolica, con poco successo. Qui non si è puntato sull’aggregazione in un unico movimento, ma sulla cura di una rete. Perché questa scelta?

«Serve accettare che c’è stato un cambiamento irreversibile nel mondo della partecipazione politica. Lo abbiamo visto nelle ultime campagne elettorali, da quella americana a quelle che si svolgono nel nostro paese: quando va a votare meno del 50% delle persone, la democrazia si è impoverita. Qualcuno parla già di una “democratura”. Quindi c’è l’esigenza di trovare strumenti diversi. Dobbiamo essere onesti e dire che l’Italia non ha bisogno di un partitino o di una corrente di cattolici dentro un partito più grande. Dobbiamo avere l’ambizione di dire che siamo qui per qualcosa di più sfidante.»

Gli amministratori cattolici riescono effettivamente a farsi portavoce di istanze (o sfide) comuni agendo all’interno di formazioni politiche diverse?

«Voglio essere abbastanza onesto e dire che è davvero molto difficile. Oggi stiamo registrando una difficoltà crescente, quasi uno spegnersi della capacità e della voce dei cattolici che qualche decennio fa abitavano un grande partito. A me è capitato di fare il senatore e di vedere quante persone ancora provenissero dalle nostre comunità cristiane. Oggi questa voce rischia di affievolirsi. È il motivo per il quale questa Rete vuole davvero ripartire dal basso, per fare tesoro in particolare di un’esperienza storica del passato che deve arrivare al tempo di Sturzo, tra la fine dell‘800 e il ‘900, con opere attraverso le quali i cattolici seppero dimostrare al paese che erano capaci di accompagnare le persone più povere e più disagiate. Quella di Sturzo fu la generazione che arrivò in Parlamento nel secondo dopoguerra e costruì forse gli anni migliori della politica del nostro Paese. Abbiamo bisogno di recuperare quella credibilità.»

Di cosa si parla agli incontri della Rete di Trieste che si stanno svolgendo in questi giorni?

«Si ascolterà e si darà occasione alle persone di portare le proprie esperienze. O si parte davvero dal basso ridando un protagonismo reale ai territori e alle singole persone oppure sarà l’ennesimo fallimento. Abbiamo seminato uno spirito diverso, lo stile delle Settimane sociali, dove mille delegati da tutta Italia si sono confrontati con una modalità talmente efficace e innovativa che, nelle conclusioni finali, ciascuno può ritrovare un segno di quello che è stato detto da ogni altro partecipante.»

Oltre al metodo, innovativo ed efficace, quali i temi sul tavolo?

«Abbiamo bisogno di creare delle città a misura di persone. Oggi le città sono prevalentemente un luogo di consumo e non di incontro. E poi c’è il grande tema ambientale. Credo emergeranno cose molto concrete: offrendo idee (e non soltanto quelle), i cattolici sono trasversalmente capaci di mettere al centro temi condivisi che cambiano le persone.»

Giovanni Lesa

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