Dal Vangelo secondo Marco Mc 9,30-37
In quel tempo, Gesù e i suoi discepoli attraversavano la Galilea, ma egli non voleva che alcuno lo sapesse. Insegnava infatti ai suoi discepoli e diceva loro: «Il Figlio dell’uomo viene consegnato nelle mani degli uomini e lo uccideranno; ma, una volta ucciso, dopo tre giorni risorgerà». Essi però non capivano queste parole e avevano timore di interrogarlo.
Giunsero a Cafàrnao. Quando fu in casa, chiese loro: «Di che cosa stavate discutendo per la strada?». Ed essi tacevano. Per la strada infatti avevano discusso tra loro chi fosse più grande. Sedutosi, chiamò i Dodici e disse loro: «Se uno vuole essere il primo, sia l’ultimo di tutti e il servitore di tutti».
E, preso un bambino, lo pose in mezzo a loro e, abbracciandolo, disse loro: «Chi accoglie uno solo di questi bambini nel mio nome, accoglie me; e chi accoglie me, non accoglie me, ma colui che mi ha mandato».
Parola del Signore.
Commento al Vangelo del 22 settembre 2024,
XXV Domenica del Tempo Ordinario – Anno B
A cura di don Alex De Nardo
Non più tardi di domenica scorsa abbiamo ascoltato le parole di Gesù che annunciavano il suo destino di morte e risurrezione e abbiamo assistito con particolare sorpresa alla reazione del Maestro davanti alla risposta di Pietro: chi non riesce ad incamminarsi sulla sua stessa strada che porta a Gerusalemme e accogliere ciò che ne deriva, non può dirsi un vero discepolo.
Nonostante la strigliata ricevuta, né Pietro né i suoi compagni sembrano aver capito molto. Infatti davanti al secondo annuncio della Passione, i Discepoli rimangono come spaesati: «Essi però non capivano queste parole e avevano timore di interrogarlo» (Mc 9, 32).
Marco non si fa scrupoli nel rimarcare l’incolmabile distanza che c’è fra Gesù e i Discepoli: Gesù parla di servizio, i Discepoli sognano il successo; lui parla di una strana classifica in cui i primi sono gli ultimi e viceversa, mentre loro sgomitano per avere il primo posto; lui parla di croce, loro pensano ad altri tipi di trono. E mentre loro credono di poter parlare impunemente di tutto ciò senza che il Maestro si accorga di nulla, Gesù sa leggere l’ambizione che cova, oscura, nei reconditi anfratti dei loro cuori e la vuole smascherare, portare a galla, affrontare.
Davanti ad una differenza così marcata di vedute, chiunque di noi avrebbe perso ogni speranza. Per fortuna Gesù non si lascia destabilizzare e, appena si presenta l’occasione di essere in un ambiente più appartato, si mette a sedere per dare ai suoi una vera e propria lezione di umiltà. Vuole destabilizzarli ancora di più, e per farlo chiama un bambino, lo invita a mettersi al centro e poi lo abbraccia spiegando la scala inversa della gerarchia del suo Regno. I bambini, secondo la mentalità del tempo, erano individui “di serie B”, uomini non ancora realizzati compiutamente; figuriamoci lo scandalo di un Dio che si identifica in questo modo! Ma Gesù vuole che i Discepoli facciano loro una nuova logica. È come se chiedesse loro: “Perché volete diventare grandi se io e il Padre ci identifichiamo con i più piccoli?”. È come se chiedesse a noi: “Perché, anche nella Chiesa, anche in parrocchia, a volte prevalgono le lotte, i pareri, le opinioni, i piccoli giochi di potere, se alla fine Dio si rivela a chi, come i bambini, ha un cuore libero? Che senso ha?”.
Il discorso che Gesù mette in campo è tutt’altro che banale ed è tutt’altro che sorpassato. Nell chiarore cristallino di queste righe di Vangelo possiamo scorgere, se ne abbiamo il coraggio, una trasparenza scandalosa che ci inquieta. Rischiamo sempre di credere che questi richiami del Signore siano riferiti ad altri, a quelli che, dentro e fuori la Chiesa, sono più in alto di noi. Ma ci siamo dentro tutti fino al collo, è inutile nascondersi.
Gesù ci parla di servizio e noi arriviamo a litigare addirittura per chi comanda lo sgabuzzino delle scope… Non aspiriamo a dominare imperi, un angolo di sacrestia ci basta. Gesù ci parla di avere un cuore semplice come quello di un bambino e noi ordiamo trame degne della fantasia di un romanziere per guadagnarci un posto al sole… Non aspiriamo ad ottenere una poltrona in Senato, ci basta uno sgabello, ma fianco di chi comanda. Gesù ci parla di abitare il posto degli ultimi e noi continuiamo a contarci e ricontarci, a dar retta a chi, con uno sguardo prettamente mondano13,13 calcola il nostro valore sui numeri e le presenze, credendo che se resteremo in pochi fedeli al Vangelo, la nostra voce non avrà più valore… Non diciamo di credere che tutto dipenda da noi, ma ci comportiamo come se il messaggio di Gesù fosse solo questione di popolarità e forze umane.
Oggi Gesù si siede ancora accanto a noi e, con infinita e confortante pazienza, continua ad additarci la bellezza degli ultimi posti, dei posti di Dio, spingendoci ad una vita che non può essere abbracciata se non attraverso una convinta e seria conversione della mente e del cuore.
don Alex De Nardo