Dal Vangelo secondo Giovanni, Gv 15,1-8
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
«Io sono la vite vera e il Padre mio è l’agricoltore. Ogni tralcio che in me non porta frutto, lo taglia, e ogni tralcio che porta frutto, lo pota perché porti più frutto. Voi siete già puri, a causa della parola che vi ho annunciato.
Rimanete in me e io in voi. Come il tralcio non può portare frutto da se stesso se non rimane nella vite, così neanche voi se non rimanete in me. Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me, e io in lui, porta molto frutto, perché senza di me non potete far nulla. Chi non rimane in me viene gettato via come il tralcio e secca; poi lo raccolgono, lo gettano nel fuoco e lo bruciano.
Se rimanete in me e le mie parole rimangono in voi, chiedete quello che volete e vi sarà fatto. In questo è glorificato il Padre mio: che portiate molto frutto e diventiate miei discepoli».
Parola del Signore
Commento al Vangelo del 28 aprile 2024,
V Domenica di Pasqua
A cura di don Emanuele Paravano
Il Vangelo di questa domenica ci presenta l’immagine di Gesù come vite e noi come tralci, a significare la profonda unione tra Lui e chi lo segue; infatti, vite e tralci sono la stessa pianta e generano lo stesso frutto. Di fronte a una prospettiva così nobile, di essere così uniti al Figlio di Dio da diventare suoi concreti testimoni, c’è l’ammonimento del padre agricoltore: «Ogni tralcio che in me non porta frutto, lo taglia». C’è una fiducia immensa riposta nella piantumazione e nella cura amorosa e paziente della vigna, ma i tralci che non portano frutto vengono tagliati.
Si può portare frutto solo a partire dall’esperienza profonda, esistenziale, di sentire che nelle nostre vene scorre l’amore di Dio, il perdono di Dio, la grazia di Dio. È la gioia di sentire che la nostra carne è co-abitata da sempre: non siamo soli, “gettati” in questo mondo, ma siamo «tempio di Dio» e «dimora dello Spirito», solo così può vincere la generosità di Dio sul nostro limite, Egli lo porterà in sé, come la vite sostiene il tralcio.
«Ogni tralcio che porta frutto, [il Padre] lo pota perché porti più frutto». Il Padre, sapiente agricoltore, sa che la potatura è necessaria per il bene della pianta, perché possa dare il meglio di sé. Così, anche noi, di fronte alle mortificazioni, le possiamo comprendere come un cammino verso una maggiore vita e non verso la morte, cioè verso la vita in Dio che comporta la morte del nostro IO (la centratura su noi stessi). Nella potatura vengono eliminate tutte quelle parti che sembrano produttive, ma non lo sono e sottraggono elementi utili ai grappoli e ai tralci, così nella nostra vita: può capitare di essere convinti di condurre un’esistenza molto cristiana, mentre, in verità, si è attenti ai propri piaceri spirituali senza amore per Dio e per il prossimo. La potatura è una benedizione nel momento in cui toglie ciò che noi pensavamo bene, e invece era un bene solo apparente, era quindi male. Quale sguardo abbiamo sulle potature che abbiamo subito nella nostra vita? E, ancora, c’è qualcosa che oggi sento succhiarmi energie e non essere fecondo per la mia vita?
Gesù ci rivela la condizione necessaria per portare frutto: «Rimanete in me e io in voi». Per fare questo, serve un atto di volontà affidato alla nostra libertà, nessuno può farlo al nostro posto; “Gesù si esprime con un imperativo, come Egli ci supplicasse di dimorare in Lui” (S. Fausti).
È un dato di fatto che noi, esistenzialmente, dimoriamo nell’amore del Signore, amore che ci permea indipendentemente dalle nostre lontananze, possiamo però rifiutarlo e vivere come se non esistesse questo amore primordiale che ci ha generati e che, se lo permettiamo, ci genera alla vita ancora e ancora. La relazione con Dio è esigente e nella vita ci sono stati, ci sono e ci saranno momenti belli e momenti dolorosi, gioie inaspettate e lutti improvvisi, tempo di meraviglia e tempo di angoscia, stare in questi chiaroscuri è l’arte del vivere. Certamente, contare solo sulle proprie capacità, o, al contrario, “dimorare” nel Signore, sono due modi diversi di stare al mondo che producono due frutti completamente diversi. L’azione buona nasce dal rapporto intimo e costante con il Signore; più conosciamo il Signore, più faremo il bene, più amiamo il Signore, più avremo la gioia per seguirlo.
«Qualsiasi cosa volete, chiedete». Il desiderio è il motore della vita, quello che fa muovere l’uomo verso ciò che gli manca; Gesù ci spinge a diventare consapevoli di ciò che ci manca veramente, per chiedere con consapevolezza i suoi doni sublimi. È questa la gloria di Dio: «che portiate molto frutto e diventiate miei discepoli», che, cioè, lasciamo dimorare il Suo amore in noi, che prenda la nostra carne e entri nelle nostre relazioni e lì porti frutto. Diventare discepoli è percepire Gesù coinvolto nella nostra carne: cosa direi alla Sua presenza, o cosa eviterei di dire? Farei una cosa che detesto, o lascerei stare ciò che mi piace tanto? Mi prenderei sempre sul serio o sarei meno rigido nel giudizio su me e gli altri? È questa l’esistenza in Cristo, ogni giorno opportunità su opportunità da cogliere e accogliere per sperimentare l’amore di Dio in azione nella nostra vita.
don Emanuele Paravano