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Commento al Vangelo

Chi vuole essere il primo, sia il servitore di tutti

Dal Vangelo secondo Marco Mc 9,30-37

In quel tempo, Gesù e i suoi discepoli attraversavano la Galilea, ma egli non voleva che alcuno lo sapesse. Insegnava infatti ai suoi discepoli e diceva loro: «Il Figlio dell’uomo viene consegnato nelle mani degli uomini e lo uccideranno; ma, una volta ucciso, dopo tre giorni risorgerà». Essi però non capivano queste parole e avevano timore di interrogarlo.
Giunsero a Cafàrnao. Quando fu in casa, chiese loro: «Di che cosa stavate discutendo per la strada?». Ed essi tacevano. Per la strada infatti avevano discusso tra loro chi fosse più grande. Sedutosi, chiamò i Dodici e disse loro: «Se uno vuole essere il primo, sia l’ultimo di tutti e il servitore di tutti».
E, preso un bambino, lo pose in mezzo a loro e, abbracciandolo, disse loro: «Chi accoglie uno solo di questi bambini nel mio nome, accoglie me; e chi accoglie me, non accoglie me, ma colui che mi ha mandato».

Parola del Signore.

Commento al Vangelo del 22 settembre 2024,
XXV Domenica del Tempo Ordinario – Anno B

A cura di don Davide Larcher

Don Davide Larcher

Ascoltando la pagina di Vangelo che la Chiesa ci offre in questa XXV domenica del Tempo Ordinario, ci mettiamo in cammino assieme ai discepoli, attraversando la Galilea assieme al Signore Gesù che punta a Gerusalemme. In quei momenti, dove il Maestro è solo con i suoi amici più fidati (ma diciamo pure ancora un pò testardi), spesso si lascia andare a intime confidenze, preparandoli a ciò che accadrà nella città santa. Deve avere il timore che non siano ancora abbastanza pronti e saldi nella fede per affrontare ciò che i potenti e i capi hanno riservato al Figlio di Dio: non uno scranno nei palazzi del potere, non i riconoscimenti dovuti a chi dal cielo è venuto a tenderci una mano per salvarci, ma piuttosto il rifiuto, la rabbia, la durezza di cuore, il sangue e la morte. Gerusalemme è così, un po’ contradditoria: è al contempo la città del messia e la città che uccide i profeti. Per questo egli mette le mani avanti: le cose andranno apparentemente per il verso sbagliato, incarnando esattamente ciò che la Sapienza, nella prima lettura, aveva consegnato al cuore di chi attendeva la salvezza.

Eppure, i discepoli sembrano essere lontani dal capire: mentre Gesù parla della totale donazione di sè, dell’umiliazione che lo attende, della crudezza della croce, di un seme costretto ad un tempo di nascondimento prima di dare frutto, loro discutono di grandezza, di onore, di visibilità.
In un momento di sosta arriva taglientissima la domanda di Gesù: «Di che cosa stavate discutendo lungo la strada?». I discepoli vengono messi a nudo. Noi stessi veniamo messi a nudo. Lungo le strade della nostra vita, magari anche dei nostri impegni pastorali, di che cosa discutiamo? Nelle nostre parrocchie, nei nostri incontri e riunioni, di cosa discutiamo? Nelle nostre case, ai nostri bambini, di chi parliamo? Quanto bisogno di tornare all’essenziale!
Una cosa, però, mi colpisce: pur avendo conosciuto i vanitosi desideri di prestigio dei discepoli, confessati da un imbarazzato silenzio, Gesù non li caccia sconfortato e deluso dalla loro imperfezione. Anzi: evangelizza piuttosto anche il loro errore, mettendo sul binario della fede ciò che essi cercavano nella terra. Trovo estremamente confortante che Dio faccia così: se rimani con Lui, anche quando inciampi, Egli non ti rimprovera sterilmente, accusandoti per l’errore e lasciando lì; ma ti rialza e ti insegna ad evangelizzare lo sbaglio, prendendo ciò che di buono c’era e utilizzandolo come punto di partenza per qualche cosa di molto più grande.

Quindi sì – dice il Signore ai discepoli – cercate pure i posti più prestigiosi e importanti, cercate pure grandezza e onore, ma preoccupatevi che essi vi aspettino in cielo. Per arrivare ad essi, bisogna farsi piccoli sulla terra.
Come modello Gesù propone la figura più vulnerabile e al contempo limpida e libera da vanità: un bambino. Guardando ai bambini si vede che cuore dovrebbe avere un discepolo. Un cuore capace di meravigliarsi e di emozionarsi per cose che agli occhi degli adulti sono insignificanti e secondarie. Un cuore che non fa calcoli, non cerca riconoscimenti; un cuore che cerca gli altri e l’abbraccio di mamma e papà.

don Davide Larcher

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