di don Daniele Antonello e Giovanni Lesa
La domanda è così banale da non essere mai posta: cos’è una comunità? A un primo sguardo, comunità è un insieme di persone che condividono qualcosa. I matematici direbbero che questa è una condizione necessaria ma non sufficiente, perché se presa alla lettera questa “comunità” è tutto e niente allo stesso tempo: chi prende lo stesso treno, chi vive nel medesimo comune, chi siede in curva a vedere una partita. Oggettivamente è difficile definire “comunità” gruppi dalle caratteristiche così superficiali: ci dev’essere dell’altro, laggiù, in profondità.
Le scienze sociali, dagli studi di Tönnies a quelli di Weber, hanno introdotto da subito la distinzione tra società e comunità. Mentre la prima è stata definita sulla base di convenzioni giuridiche o politiche, la seconda viene intesa come un legame soggettivo fondato su valori e credenze scelti e vissuti in maniera organica. Di questo tipo di comunità facciamo esperienza quotidiana: scatta subito una sintonia speciale, quasi solidale, con lo sconosciuto che si lascia sfuggire una parola nella lingua familiare (quante porte ha aperto un semplice “Mandi”!), oppure dimostra di avere una medesima sensibilità religiosa. O, ancora, si trova in una situazione di difficoltà che abbiamo già vissuto in passato: la vicinanza con una popolazione terremotata, per esempio, è ormai nel DNA di noi friulani, vista la medesima sorte toccataci con l’Orcolat del ‘76. Lingua friulana, fede e terremoto, peraltro, sono stati tratti salienti dell’operato di mons. Duilio Corgnali, nostro storico direttore, che su questi tre cardini ha costruito nientemeno che la sua vita. E ha fatto crescere – in modo oggettivo – una comunità particolare, che è quella friulana. Lui aveva intuito, e noi lo ribadiamo, che la comunità non è fatta solo da persone che condividono qualcosa, ma anche da quei legami sotterranei, invisibili e intimi, che danno senso a quel “qualcosa”, innervano la cultura e fanno battere il cuore. Sotto sotto c’è una voce comune (sintonia) che accende un meccanismo di solidarietà (solidum), di vicinanza.
Una di queste voci comuni è il settimanale “La Vita Cattolica”. La sua differenza dagli altri strumenti di informazione, infatti, è proprio il suo essere un settimanale di comunità. La sua identità, cioè, non lo rende un giornale intento a inseguire la cronaca a tutti i costi (non che sia un aspetto negativo, ma non fa parte della nostra missione) né è uno strumento che vive di scoop o gossip. Essere un giornale di comunità significa che chi lo realizza (giornalisti, impiegati, ma anche collaboratori e “semplici” lettori) sta fisicamente tra i membri della comunità stessa, ne è parte attiva, le vuole bene, la nutre di pensiero critico e si mette a disposizione per aiutare l’intera rete a riconoscersi continuamente in quella voce comune (che nel nostro caso, fuori di metafora, riconosciamo essere la Voce che scaturisce dal Vangelo). In altri termini, questo giornale è un collante per tenere unita la comunità – civile in generale e cristiana in particolare – del nostro Friuli. Mons. Corgnali, di tutto questo, è stato un formidabile promotore. Non è certamente un caso – potremmo parlare di “Dio-incidenza” – se ci ritroviamo a vivere la Giornata del Settimanale nei giorni di saluto terreno al caro don Duilio. È come se il ricordo che ne facciamo in questo numero – pennellando i suoi tratti di uomo, prete, giornalista e divulgatore di cultura – diventasse il suo personale imprimatur nella celebrazione di questa giornata. Per ricordarci di continuare sui passi delineati nei decenni passati.
«La Vita Cattolica vive con te», recita lo slogan che abbiamo scelto per la Giornata del settimanale di quest’anno. E poi prosegue: «…e per te». Il settimanale è per te, per i tuoi amici, per i tuoi parenti e vicini di casa. Lo trovi in fondo alla chiesa (casa della comunità cristiana) ma anche sui banchi dell’edicola (una delle case della comunità civile). Lo trovi aprendo Facebook (qui parliamo di community, e potremmo spenderci ore) così come a casa, sul tavolino vicino al divano o nel tablet sulla poltrona.
La presenza di un giornale di comunità è ancora più importante se la sua comunità soffre, quando cioè le distanze tra i suoi membri aumentano così tanto da creare estraneità reciproca, fenomeno oggi estremamente accentuato: meno persone, molta incertezza sul futuro, tanta frenesia che rosicchia i tempi delle relazioni e della profondità. Ecco la preziosità di questo settimanale: oltre a ricordarci ciò che fa bene, esso stesso è uno strumento che – in virtù del suo essere comunitario – è fatto apposta per essere sfogliato e soprattutto richiuso. Dire «Lu ai let su la Vite Catoliche» è far nascere il dialogo con chi si riconosce, anche solo occasionalmente, nella comunità di cui La Vita Cattolica è strumento, una comunità che – parafrasando la sua testata – guarda alla Vita buona dei suoi membri con lo sguardo Cattolico che comprende ognuno di loro, traendo i passi dall’evento cristiano.
Rendendo più vivo (e più conosciuto, più diffuso, più sfogliato e richiuso) questo nostro settimanale, rendiamo più viva la nostra comunità. Interpretando anche il pensiero di mons. Corgnali, pensiamo che questa sia, oggi, una delle sfide più urgenti. Buona Giornata del settimanale, buona lettura e buon dialogo.