Sa Padre, da che ho memoria ho sempre avuto desiderio di paternità. Già da ragazzo, infatti, mi vedevo adulto con a fianco una moglie e dei figli. I miei due ragazzi stanno ormai diventando grandi, si dice che crescano troppo velocemente, ed è vero. Quando son piccoli è bello vederli tornare a casa felici con i loro lavoretti per la Festa del Papà! Che orgoglio leggere le loro testimonianze d’amore scritte a caratteri incerti su fogli colorati a pastelli. All’inizio, in realtà, non mi sono fermato a riflettere sul mio ruolo di padre; è stato tutto abbastanza naturale: dovevo prendermi cura della mia famiglia andando a lavorare e garantendole tutto quello di cui necessitava. Non mi sembra, quindi, di aver fatto nulla di particolarmente encomiabile, non sono diverso da centinaia di milioni di altri padri sparsi nel mondo.Prima non mi ponevo certe domande. Poi però qualcosa è cambiato: sa, mi hanno assunto come educatore in una casa-famiglia. Ora non mi prendo cura solo dei miei figli, ci sono altri bambini che hanno bisogno di un punto di riferimento. Ho studiato, per questo, quindi pensavo di essere preparato; stare con i bambini mi piace quindi mi trovo a mio agio, passo il tempo a giocare con loro, ad aiutarli nei compiti, insomma li sostengo nel loro percorso. Solo che ultimamente… torno a casa la sera e sono un poco stanco per cui, a volte, mi sembra di essere sbrigativo con i miei figli. Devo confessarle che, una volta a letto, nel buio della mia camera, mi interrogo sul mio essere padre.
Rifletto sul tempo trascorso con loro, mi chiedo se sono stato coerente nei miei interventi, cerco di rivivere le nostre conversazioni per capire se davvero ho prestato loro attenzione anche con lo sguardo oppure ho risposto rivolgendolo al telegiornale o al display del telefono. Si, dai, mi sembra di aver mantenuto il contatto visivo per tutto il dialogo. Però, Padre, il pericolo è dietro l’angolo perché non c’è nulla di più brutto dell’indifferenza del tuo interlocutore mentre gli stai rivolgendo la parola. Ah, vuole sapere com’era il mio di papà? Beh, erano altri tempi, non c’erano gli smartphone, la vita aveva ritmi diversi; tuttavia, posso asserire sia stato un buon esempio: si è preso cura della famiglia, non mi ha fatto mancare nulla. Aspetti, cerco di ricordare se ha fatto qualcosa di particolare per essere un buon padre. In realtà anche lui tornava stanco e spesso era impegnato la sera in parrocchia o ai corsi dei fidanzati, però mi ha dedicato del buon tempo, e probabilmente questo ha fatto la differenza. Ripensandoci, gli debbo molto di più: mi ha fatto conoscere il significato delle parole servizio e accoglienza. La Provvidenza poi ci ha messo del suo perché, qualche anno fa, ha fatto incrociare la storia della mia famiglia con quella di una bimba e di sua madre. Sa, stava attraversando un momento di particolare difficoltà e ci ha affidato sua figlia. Devo confessarle, Padre, che un giorno mi sono trovato a pensare di esser stato proprio bravo a mettermi a loro disposizione poi però mi sono reso conto che in realtà il vero atto d’amore e di coraggio lo aveva compiuto la sua mamma, dicendoci “fatela crescere bene per me”. Non so mica se, trovandomi nella medesima situazione, sarei riuscito a fare altrettanto… Ora, Padre, la ringrazio ma la devo salutare. Torno a casa perché lei sta per rientrare da scuola, sono curioso di vedere cosa mi porterà per la Festa del Papà. Sa, è proprio vero quello che diceva San Luigi Scrosoppi: “È Padre chi riaccende nell’altro un germe di vita, lo rende capace di conoscere, agire, volere, amare”. Buona Festa del Papà anche a lei, Padre.
Enrico Ottone
Un papà