«Perché tutti siano una sola cosa» (Gv 17,21) è la preghiera che dopo l’ultima cena il Signore Gesù fa al Padre prima della sua passione gloriosa invocandolo come dono per i suoi discepoli. Questa preghiera ogni anno viene riportata alla coscienza di tutti i fedeli delle varie confessioni cristiane durante la tradizionale Settimana di preghiera per l’Unità dei cristiani. Questi giorni vogliono essere un’opportunità per riflettere sul grado di unità raggiunto e per invocare il Padre celeste, fonte primordiale dell’unità per domandarci su che impegno concreto mettiamo in azione nelle nostre Chiese per raggiungere la piena unità.
Il cammino dottrinale e teologico compiuto dalle varie confessioni cristiane per raggiungere intenti comuni è noto a qualsiasi persona appassionata di storia ecclesiale: dal concilio di Nicea fino ad oggi sono stati fatti dei passi da gigante verso la realizzazione di quel desiderio primordiale del Signore Gesù. Anche se la storia ci insegna che nel corso del tempo si sono registrati anche dei momenti difficili che hanno frenato e ostacolato questo cammino. Non è un caso se quest’anno ricorrono i 1700 anni dal Concilio di Nicea, primo concilio ecumenico della storia, diventando una nuova opportunità per riflettere e ripartire assieme.
Quello che rimane più vero, però, è che la maggior parte delle volte, il cammino di unità viene segnato dal basso grazie alla concretezza del vivere, condividendo la dimensione umana nel nome dello stesso Cristo. Un cammino, dunque, che non inizia dal tavolo di uno studio teologico, ma che segna i passi di tanti cristiani che nel vivere quotidiano, esprimono questa “unità di vicinato”. Sono tanti, infatti, i cristiani di varie parti del mondo – cattolici, protestanti, carismatici, ortodossi – che si trovano a condividere insieme la vita quotidiana, oltrepassando le barriere della diversità del credo religioso e riconoscendosi tutti generati da unico Dio Padre, in Cristo.
Questo è il mondo dove ho vissuto fin da ragazzo e molti cattolici continuano a farne esperienza in varie parti dell’Africa. In particolare, il Ghana è un paese a maggioranza cristiana: secondo i dati del censimento nazionale del 2021, tra i 32 milioni di abitanti il 72% circa sono cristiani, il 20% musulmani, il 3% appartiene alla religione tradizionale e il 5% circa ad altre religioni o si professa non credente. Tra i cristiani il 14% è cattolico, il 24% protestante, mentre il 44% aderisce a gruppi carismatici o evangelici.
Se penso alla mia vita, sono cresciuto avendo i nonni materni cattolici, mentre quelli paterni erano evangelico-presbiteriani. Ancora oggi ho dei parenti di varie confessioni cristiane. E così, l’ecumenismo l’ho vissuto in casa fin da piccolo, ognuno con la propria professione di fede, ma crescendo tutti insieme nella stessa famiglia, secondo la prospettiva “dell’unità nella diversità”. Vivendo la vita insieme, capitava di accompagnare un parente in una “chiesa sorella” per una celebrazione di ringraziamento (ad esempio dopo un parto, dopo la guarigione da una malattia, oppure per una preghiera esaudita). Si condividevano questi momenti tutti insieme, sapendo chiaramente che l’insegnamento delle verità di fede non sempre trovano una corrispondenza reciproca tra le varie confessioni cristiane, ma con la certezza che tutti professiamo la stessa fede nell’unico Signore, morto e Risorto, che ci ha resi tutti fratelli e sorelle in Lui.
Oltre a questa “normalità”, il passo successivo è stato anche la bellezza nel vivere il dialogo interreligioso con altre credenze: ad esempio, ancora oggi, ringrazio il Signore quotidianamente per l’esperienza che ho potuto fare da ragazzo, vivendo per tre anni in un collegio superiore di ispirazione islamica, dove, musulmani, cattolici e protestanti studiano insieme e condividono la vita quotidiana oltre al percorso accademico.
Il tema di quest’anno scelto per la Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani è “Credi tu questo?”: è la domanda che il Signore rivolge a Marta mentre visita a Betania casa sua dopo la morte del fratello Lazzaro (Gv 11,17-27). Sono convinto che questa sia la stessa domanda che il Signore rivolge a ciascuno di noi in questo tempo storico e sociale in cui vediamo arrivare nei nostri paesi tante persone provenienti da altre parti del mondo, di fede religiosa completamente diversa dalla nostra. Ecco allora la provocazione: “Credi tu” che si possa coltivare l’unità fraterna, partendo dalla nostra comune figliolanza in Cristo e dalla paternità in Dio? Solo così si potrà continuare a camminare secondo uno spirito di “unità del vicinato”, intravvedendo nell’altra persona un fratello e una sorella prima di ogni divisione religiosa.