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Scuola

Difficoltà di apprendimento. Troppe certificazioni? Il pedagogista Daniele Fedeli: «Le norme sui Bes rafforzano i più deboli»

«Quando uno studente necessita di una certificazione che lo protegga? E quando la certificazione invece che proteggerlo rischia di renderlo ancora più fragile? Penso che ultimamente ci sia stato un ricorso alla certificazione davvero smodato che ha reso questa una domanda necessaria, da mettere al centro di una riflessione complessa, soprattutto per la categoria professionale a cui appartengo». Sono le parole che lo psicoterapeuta Alberto Pellai ha scritto nei giorni scorsi sulla sua pagina Facebook, rispondendo alla lettera di un’insegnante che denunciava la «crescente “medicalizzazione” dei ragazzi» nella scuola dove «le certificazioni per qualsivoglia disturbo raggiungono percentuali altissime». Non mettendo in discussione quelle «per reali e gravi disturbi, quali dislessia, discalculia e disgrafia», la docente sottolineava che «troppo spesso il Piano didattico personalizzato è sentito come una sorta di lasciapassare da impugnare per ottenere sempre e comunque la promozione».

Il tema è molto dibattuto da quando nel 2010, con la legge 170, c’è stata la descrizione dei “Disturbi specifici dell’apprendimento” (DSA), completata dal decreto ministeriale del 2012 che ha definito gli “Strumenti di intervento per alunni con Bes”, ovvero con Bisogni educativi speciali, macrocategoria che comprende anche altre tipologie, come lo svantaggio socioeconomico e culturale. Ed effettivamente le certificazioni sono molto aumentate. Dati regionali non ce ne sono, ma indagini a livello nazionale – ci spiegano all’Ufficio scolastico regionale – indicano che gli studenti con Dsa sono il 4,5%, mentre non esistono numeri per i Bes, dal momento che la casistica è molto varia.

Abbiamo chiesto l’opinione di Daniele Fedeli, pedagogista dell’Università di Udine, nonché delegato del rettore per gli studenti con condizioni speciali, che ora stanno arrivando anche all’Universtà (sono il 3%). «L’aumento delle certificazioni – spiega Fedeli – è indubbio. Ritengo sia collegato in gran parte al fatto che oggi, grazie a procedure diagnostiche più sensibili, riusciamo a riconoscere alcuni disturbi, soprattutto quelli più vicini alla soglia di attenzione, che prima non venivano identificati oppure apparivano molto avanti nell’età».

Molti docenti evidenziano però un deciso aumento dei casi di autismo e disturbi dell’attenzione o comportamenti oppositivi.

«Se parliamo di veri e propri disturbi i tassi non sono cambiati. Ci sono poi fattori educativi e ambientali che possono avere effetto non sull’origine, ma sulla gravità con cui il disturbo si manifesta, rendendo più evidenti situazioni che diversamente sarebbero rimaste sottotraccia».

Non c’è, secondo lei, il rischio che la facilitazione delle prove porti l’alunno ad adagiarsi?

«Se la situazione viene affrontata in maniera corretta non vedo questo rischio. Intanto, per quanto riguarda i disturbi dell’apprendimento la normativa è chiara: gli eventuali strumenti compensativi o dispensativi non devono determinare una facilitazione del compito dal punto di vista cognitivo. Lo strumento (computer, sintesi vocale, tempo aggiuntivo per svolgere il compito ecc. ndr) serve solo a supportare una capacità che il ragazzo a causa del disturbo non ha sviluppato adeguatamente».

E per quanto riguarda gli studenti con bisogni educativi speciali legati a problemi familiari o altre fragilità, non cognitive?

«La direttiva del 2012 prevede che i “team” di docenti, nel caso delle primarie, o i consigli di classe, nel caso delle secondarie, individuino i ragazzi in difficoltà. Ciò, però, dovrebbe essere fatto nei casi in cui veramente la condizione impatta in maniera importante sul ragazzo e in cui le normali forme di flessibilità didattica non sono in grado di dare una risposta. Sicuramente ci possono essere alcuni casi in cui l’approccio è stato eccessivamente ampio e il riconoscimento dei “Bisogni educativi speciali” avrebbe potuto essere evitato. Ma ci sono anche i casi opposti. La normativa sui Bes ha avuto due meriti: innanzitutto supportare i ragazzi che oggettivamente hanno delle difficoltà importanti che non riuscirebbero a superare con la normale didattica scolastica. Dall’altro ha costretto o motivato la scuola e gli insegnanti ad adottare forme di didattica innovativa, più flessibile e intuitiva».

Ci sono delle correzioni che andrebbero apportate al sistema?

«La normativa sui Bes ha dato molta responsabilità alle scuole e questo ha portato ad una certa discrezionalità. Sarebbe pertanto importante definire delle procedure omogenee a livello almeno regionale, se non nazionale».

Stefano Damiani

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