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Diocesi in festa: è Giubileo!

C’era chi aveva ancora negli occhi la folla immensa del dicembre 2015, quando si aprì anche a Udine il Giubileo della misericordia. Piazza del Duomo era davvero gremita quando l’allora arcivescovo Andrea Bruno Mazzocato aprì la Porta della misericordia. «E stavolta – si diceva in quello stesso posto domenica 29 dicembre, ma di quest’anno – come sarà?».

Gli occhi cercano risposta alla domanda. E piano piano la piazza si è riempita. Venti, cinquanta, cento, cinquecento persone. Alla fine saranno circa millecinquecento. Giunge anche l’arcivescovo Riccardo Lamba, a piedi, passo svelto, il sorriso allargato per tutti. C’è trepidazione, la sensazione di qualcosa di nuovo capace di aprire una finestra (o una porta?) di freschezza nei cuori. Le porte (sante), stavolta, saranno solo a Roma. Ma questo non toglie che la celebrazione per l’avvio del Giubileo 2025 sia stata una autentica festa della fede. E della speranza, dal momento in cui il tema del Giubileo, indicato da Papa Francesco, è proprio “Pellegrini di speranza”.

La processione peregrinante prende avvio dall’Oratorio della Purità. Ad aprire il corteo, un crocifisso dorato

Dinanzi alla croce, “vera speranza”

Ritrovo nell’Oratorio della Purità, accanto alla Cattedrale. Chiesa splendida – con il suo Tiepolo a tinte oro e argento – ma piccola, appena sufficiente a ospitare il clero e il coro, la Cappella musicale della Cattedrale. Suona la campana, si inizia. La schola intona le note dell’Inno del Giubileo, l’arcivescovo dà avvio con il segno della croce. Il Vangelo proclamato in friulano, poi tutti fuori – dove molti di quei millecinquecento attendevano pazienti – per l’avvio del simbolico pellegrinaggio fino in Cattedrale. Chissà cosa avrà pensato chi, tra via Savorgnana e via Stringher, magari con un calice in mano, avrà visto quel lungo corteo con le fiaccole accese, in testa un crocifisso dorato e ornato per l’occasione.

La processione peregrinante per le vie del centro cittadino

Dinanzi alla Cattedrale, l’immagine iconica della giornata: mons. Riccardo Lamba, il pastore, che brandisce la croce e la alza per la venerazione da parte dei fedeli, quella porzione di popolo di Dio che lui, vescovo romano di origini campane, dallo scorso maggio ha il compito di guidare. «Ave, croce di Cristo, unica speranza!». Un patibolo segno di speranza, paradossi di una fede talvolta tremolante come le fiammelle nelle mani dei presenti, ma calda come il loro fuoco. Calori di speranza.

L’Arcivescovo innalza la croce per la venerazione dei fedeli

Si canta. Si entra. Cattedrale gremita. Posti a sedere occupati. Gente in piedi si accalca nei corridoi delle navate. Persone che entrano in sagrestia, «avete un libretto in più?». Il migliaio di copie predisposte per l’occasione si sono rivelate largamente insufficienti. Primo banco, come da consuetudine, con alcune autorità: il questore Farinacci, gli assessori comunali di Udine Arcella, Gasparin, Zini, con il consigliere Vigna.

«C’è un “prima” e un “dopo”. Cosa detta il ritmo delle nostre giornate?»

La liturgia è quella della Festa della Santa Famiglia di Gesù, Maria e Giuseppe, «Il modello di ogni vera famiglia umana» ha esordito l’Arcivescovo nella sua omelia. Il Vangelo racconta lo smarrimento di Gesù, dodicenne, al tempio di Gerusalemme. «L’episodio narrato da Luca – ha proseguito mons. Lamba – segna una netta linea di demarcazione tra un prima ed un dopo: è la prima volta che Gesù si muove, agisce, parla, si presenta come soggetto distinto dai suoi genitori all’interno del nucleo familiare in cui è cresciuto e continuerà a crescere. Con buona pace dei sociologi, degli psicologi, dei pedagogisti di ogni tempo, questa non può essere annoverata come una delle innumerevoli crisi o ribellioni adolescenziali».

L’Arcivescovo nella sua omelia

Un “prima” e un “dopo”, come nel varcare una soglia. Una porta. O come un pellegrinaggio. «Il contesto dell’episodio è proprio un “pellegrinaggio” religioso: Maria e Giuseppe con Gesù, in occasione della Pasqua ebraica, si recano in pellegrinaggio a Gerusalemme con parenti e conoscenti, manifestando così che la loro vita è ritmata dagli eventi fondativi della fede.»

Quella trepidazione che si respirava all’esterno della Cattedrale trasuda dalle parole dell’omelia dell’Arcivescovo. «Chiediamoci, all’inizio di questo anno giubilare: che cosa sta dettando il ritmo delle nostre vite, delle nostre famiglie e comunità?». Perché il Giubileo serve a questo, a portare novità nell’ordinarietà, discontinuità nella quotidianità, perdono dove ce n’è bisogno.

La Cattedrale gremita

Giubileo per fare “un salto di qualità”

«Credo che quest’anno giubilare sia un’occasione da cogliere per cercare, con l’aiuto della Grazia, di “fare unità” tra la dimensione contemplativa e quella attiva della nostra vita», ha affermato mons. Lamba. In giornate, settimane, mesi composti da frammenti di agende, incontri, corse e rincorse, ricorrere all’unità – quella sì – è quantomai necessario, per lo più attingendo alla sua radice spirituale. Ed è questo che, come ha affermato mons. Lamba, può portare a un autentico “salto di qualità” nella vita e nella fede.

Accanto all’Arcivescovo il vicario generale mons. Guido Genero (a sinistra nella foto) e il decano del Capitolo metropolitano mons. Gianpaolo D’Agosto (a destra)

«In quest’anno giubilare – ha concluso infatti l’Arcivescovo – credo che, come Maria e Giuseppe, anche siamo a fare un salto di qualità per ricomprendere qual è il senso della nostra vita e della missione che il Signore vuole affidare a ciascuno di noi, ognuno nel proprio stato di vita, ma ognuno come figlio obbediente per amore alla volontà del Padre, come Gesù, Maria e Giuseppe». «Il Giubileo sarà per tutti noi un anno di Grazia in cui potremo fare lo stesso pellegrinaggio di fede di Maria e Giuseppe. Nella misura in cui anche noi cercheremo Gesù con tutti noi stessi, ci lasceremo meravigliare da Lui, obbediremo alla Sua Volontà nella missione a noi affidata, neppure la nostra Speranza sarà delusa!»

Difficile non deludere una speranza. Che prima va cercata, trovata o quantomeno intravista. Abbiamo un’occasione lunga un anno. Che sia un anno di Giubileo.

Giovanni Lesa

 

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