Viviamo qui, in Friuli, una strana fase di spaesamento. Credevo di potermi dire friulano (senza, per questo, voler vantare chissà quale primato, ma solo per avere dei termini di riconoscimento, di auto-identificazione). Poi, il marketing territoriale della Regione ha imposto il claim “Io sono Friuli Venezia Giulia”. L’economia ci ha da tempo abituati all’invenzione di “identità” posticce per promuovere le sue merci ma, forse, le identità e le istituzioni territoriali non dovrebbero essere trattate come merci.
Ora, da qualche mese, sta ritornando alla ribalta il Nordest che costituisce la geografia di riferimento del progetto editoriale Nordest Multimedia di cui fanno parte anche il Messaggero Veneto e il Piccolo e la cui proprietà è riferibile ad un gruppo di imprenditori prevalentemente veneti. è assolutamente legittimo che ogni gruppo – politico o economico che sia – adotti una geografia conforme alla propria strategia territoriale. Tuttavia, abbiamo ragione di ritenere che le geografie non possano essere inventate o modificate a piacere a seconda delle convenienze di breve momento. Anche se riferite a contesti non politico-statali come quelle regionali, multiregionali o subregionali, sono comunque una cosa estremamente seria perché, aspirando a “indicare la strada”, finiscono per incidere sulla costruzione dei poteri di governo regionale e locale, sull’uso e distribuzione delle risorse e, in fin dei conti, sulla vita delle persone e delle comunità interessate. Che fare, allora? Conservare e inaridirsi nelle geografie storiche? Forse queste non sono sempre riferimenti validi e giusti, ma l’alternativa non può essere neppure il suo contrario e, cioè, una sorta di mercato effimero degli immaginari geografici.
Cerchiamo, allora, di avere dei principi e un metodo per costruire geografie valide per tutti e non strumentali a finalità di parte o di breve periodo.
Chiediamoci, per esempio, se sia riconoscibile una geografia latente, in questa parte d’Europa tra Alto Adriatico e arco alpino, tra le propaggini orientali della megalopoli padana ed i Balcani nord-occidentali, che possa permettere ai popoli che vi abitano di sentirsi parte di una comunità di destino più ampia, in sufficiente equilibrio con la terra e la natura e con una sufficiente coesione sociale e culturale al suo interno. Questa geografia latente c’è ed è fatta da territori italiani come Veneto, Trentino, Sud Tirolo, Friuli e Venezia Giulia, da Paesi come Slovenia e Croazia e da regioni come Carinzia, Stiria e Tirolo in Austria e parte della Baviera in Germania. C’è, perché ha un senso storico ma anche perché, nella contemporaneità di un’Europa alla ricerca di identità e coesione, si regge sulla necessità vitale di ricercare un’alternativa all’egemonia che, su tutti questi territori, viene esercitata dalle grandi aree metropolitane di Milano, Monaco e Vienna (anche Venezia andrebbe citata ma la sua egemonia è oggi assai diversa da quella di secoli fa).
Costruire, quindi, questa geografia significa costruire relazioni internazionali coordinate e cooperative con le regioni e Paesi detti per:
- bilanciare – se non proprio contrastare – l’attrattività che le grandi metropoli dette esercitano su queste terre;
- proporre un modello di governo territoriale adatto all’epoca post-pandemica e della transizione ecologica ed energetica (e che, in un mio recente libro ho definito, appunto, modello ecopolitano).
C’è un soggetto “politico” che possa assumersi questo ruolo federatore? Non so se il Veneto, nel suo complesso, possa essere interessato ad una geografia di questo tipo. Si può verificare (*). Ma credo che il Friuli e Trieste (come singole realtà geografiche autonome prima ancora che come partner di una stessa regione), lo siano per necessità prima ancora che per interesse. Per il Friuli, significherebbe ricercare una propria posizione in questo sistema geografico estendendo le proprie relazioni nelle molteplici direzioni ma, prima di tutto, dando il buon esempio a casa propria. Ciò significa mettere i bacini idrografici (e, in particolare, quelli dell’Isonzo, del Tagliamento e della Livenza, arrivando anche, da una parte, a quello della Drava e, dall’altra, a quello del Piave) e i territori alpini – ed i loro patrimoni antropici, naturali e seminaturali – al centro e non ai margini della euroregione.
Al centro e non ai margini delle sue attività economiche come delle sue articolazioni subregionali e delle sue relazioni interregionali e transnazionali. Al centro e non ai margini di una nuova visione etica ed estetica del territorio regionale capace di motivare la permanenza dei giovani o di riattrarre quelli che se ne sono andati via negli anni anche perché insoddisfatti del vecchio modello di sviluppo tutt’ora dominante. Inquadrare il proprio futuro in una euroregione mitteleuropea basata non tanto sulle grandi città metropolitane quanto sull’intera rete dei centri regionali minori e sugli ecosistemi, è un progetto politico per il Friuli purché sappia ritrovare l’orgogliosa capacità di fare quella politica alta che ha avuto in altri momenti.
(*) La cartina di tornasole per verificare l’adesione del Veneto ad un progetto simile consiste nel vedere se il Veneto è disponibile a mettere al primo posto, di un’agenda Nordest, l’obiettivo di chiedere a Roma la velocizzazione di tutte le connessioni ferroviarie di tutte le città e territori regionali che stanno a est del nodo di Venezia-Mestre.
Sandro Fabbro
professore di pianificazione e progettazione urbanistica e territoriale