Nei giorni scorsi, il Sindaco di Udine ha accolto la richiesta di riconoscimento di maternità anche alla “madre intenzionale” (quella non biologica) di una coppia omoaffettiva che ha fatto ricorso alla procreazione medicalmente assistita all’estero. Leggo dai giornali che si tratta di una scelta politica dettata principalmente ad assicurare al neonato/a gli stessi diritti degli altri due figli della coppia – nati e riconosciuti all’estero e di conseguenza in Italia – e in generale dei figli delle coppie eterosessuali. Si tratta di permettere l’esercizio giuridico genitoriale anche alla compagna della madre biologica, in modo tale che lo possa esercitare come qualunque altro genitore. Apprendo anche, sempre dai giornali, che la “madre intenzionale” ha pure avviato la pratica dell’adozione del neonato/a che, se accolta (con tempi troppo lunghi?), le permetterebbe di raggiungere il medesimo obiettivo. Con la differenza – mi pare di capire – che la trascrizione all’anagrafe non prevista dalla legge le riconoscerebbe lo «statuto di madre», mentre l’eventuale adozione (solo?) quello dell’esercizio della genitorialità.
Tutto ciò viene salutato (soprattutto) come “un passo avanti nel riconoscimento della verità e dei diritti civili” e ciò non mi pare certo con riferimento ai diritti del bene del neonato (già riconosciuti e garantiti dalla madre biologica e dall’istituto dell’adozione), ma con riferimento alla procreazione eterologa medicalmente assistita (cioè con donatore esterno alla coppia) e alla “doppia maternità”. Mi pare di capire – sempre dai giornali – che secondo il sindaco di Udine e la sua amministrazione il passo avanti in civiltà umana consisterebbe nella presa d’atto di una «verità di fatti» la procreazione eterologa (che qui in Italia è illegale) dai quali far conseguire un riconoscimento «civile» di «doppia maternità» (che il nostro ordinamento giuridico – sulla base della natura biologica – non prevede).
Se questo è quanto si intende fare, ci troviamo di fronte ad una prassi che dovrà essere giustificata legalmente. Non solo. Essa è comunque volta al raggiungimento di un fine politico attraverso il pretesto di una maggiore garanzia di diritti al neonato/a che peraltro già li possiede. Ora, fermo restando che molti sono i neonati che hanno (purtroppo) un solo genitore e che non è certo un male cercare di rafforzare dei diritti (nella misura del possibile e senza ledere quelli degli altri), perché farlo attraverso un riconoscimento (implicito) di una prassi che nel nostro paese è ritenuta illegale? Sorge il dubbio che sia proprio questo uno degli obiettivi politici da raggiungere, perlomeno altrettanto urgente – vista la forma con cui ottenerli – del rafforzamento delle garanzie al neonato/a. Inoltre, se tale prassi venisse legittimata sul piano giuridico (come implicitamente avviene sul piano morale con il “riconoscimento di maternità”), a mio parere si aprirebbe una prassi ancorché discriminatoria perlomeno nel caso di una coppia omoaffettiva maschile. Una tale coppia infatti dovrebbe ricorrere non solo alla procreazione eterologa, ma anche ad un’altra fattispecie di reato considerato ben più deprecabile – non solo in Italia e in Europa – ovvero la “maternità surrogata” o “l’utero in affitto”. Perché consegue che se si riconosce la “doppia maternità” non si potrà non riconoscere un eventuale “doppia paternità”. Con il successivo uso strumentale non solo di un gamete, ma di un corpo di donna (entrambi mai propriamente donati perché inevitabilmente “pagati” a caro prezzo, anche se non necessariamente con moneta).
È facile rivendicare diritti, più difficile è riconoscerli come autentici perché rispettosi della dignità della persona umana. Sotto questo profilo lo stesso desiderio di avere dei figli e di poterlo realizzare (in tutti i modi possibili) non va di pari passo con il rispetto della propria persona e di quella altrui. Vale anche e soprattutto (data la loro quasi totalità) per le coppie eterosessuali e il loro desiderio di genitorialità, a prescindere dal ricorso o meno alle tecniche di procreazione medicalmente assistita.
Infine, lasciatemi fare una provocazione linguistica non da poco nel processo dei significati della vita. Quanto al riconoscimento giuridico di “doppia maternità” o “doppia paternità” non sarebbe più onesto parlare di “doppia genitorialità”? E ciò sia da un punto di vista generalmente umano che psicologico e biologico. Se non si discriminano i genitori e la loro relazione educativa nei confronti dei figli, perché non rispettare anche le inevitabili differenze delle loro relazioni con i figli? Esse comunque esistono, al punto che si riconosce ai figli il diritto di conoscere i loro genitori “biologici” e non solo “educativi”. Per tante ragioni di carattere sociale è bene che si sappia (nel modo dovuto, quindi anche riservato) la differenza nelle relazioni di genitorialità e/o figliolanza. Si può essere genitori in molti e diversi modi: è bene riconoscerli, come è bene rispettarli. A questo proposito, la sezione famiglia della Corte d’Appello civile di Milano ha accolto il ricorso della Procura milanese contro i decreti del Tribunale che, il 23 giugno 2023, avevano di fatto ritenuto valide le trascrizioni in Comune dei riconoscimenti dei figli di tre coppie di donne, nati con procreazione assistita effettuata all’estero. Nell’accogliere il ricorso la Corte d’Appello così motiva: «nel nostro ordinamento non esiste una norma che preveda la possibilità per il genitore d’intenzione» – ossia quello non biologico – di «far annotare nell’atto di nascita il riconoscimento del minore nato in Italia» con fecondazione assistita all’estero e non è «ammessa la formazione di un atto di nascita indicante, quali genitori, due persone dello stesso sesso».
La stessa Corte «riconosce che la materia di cui si tratta richiede l’intervento del Legislatore, unico soggetto capace di operare un articolato disegno normativo idoneo a declinare in modo corretto i diritti dei soggetti coinvolti nella vicenda procreativa umana medicalmente assistita, realizzando il bilanciamento di diritti di rango costituzionale che non devono venire a trovarsi in conflitto tra loro, ivi inclusi quelli del nascituro, soggetto capace di diritti, nel suo essere e nel suo divenire». Sul necessario intervento del Legislatore – il Parlamento – siamo tutti d’accordo, dal Sindaco di Udine (come leggo sempre nei giornali) a tutti noi cittadini, ma sulla posta in gioco – ovvero il bilanciamento di diritti di rango costituzionale – i punti di vista possono essere molto diversi e forzare la mano pretestuosamente non credo sia una politica del bene comune.
Don Franco Gismano, teologo morale