«Giulia è quel genere di figlia che ti sa dare tutto. Si definiva “normale”, non amava apparire, ma aveva un’intensità luminosa del volto che rimaneva impressa. Mi è capitato un’infinità di volte di rientrare a casa stressato dal lavoro, ma mi bastava aprire la porta di casa, magari trovarla intenta a ballare o a giocare col cane e allora il suo “ciao papi” faceva passare tutto. È accaduto come con le vecchie pellicole dei film, qualcuno ha tagliato la nostra, così Giulia è rimasta da una parte mentre io sto dall’altra, e a me è stata data la possibilità di continuare la vita. Raccontare Giulia è l’unico modo che ho di farla rivivere, ho deciso di farlo con tutta la forza che ho anche perché la sua storia può essere utile a salvare altre vite a renderci più consapevoli rispetto al problema sociale della violenza e della disparità di genere».
Sono stati due incontri intensi, densi di emozione, costellati anche di sorrisi e tanti aneddoti quelli che Gino Cecchettin, sabato 19 ottobre, ha regalato a Cervignano al Festival del Coraggio. La mattina in un dialogo con gli studenti e le studentesse dell’Isis Bassa Friulana, la sera in un incontro aperto al pubblico. Giulia, sua figlia, è una delle 120 donne che nel 2023 sono state vittime di femminicidio, anche lei ammazzata, l’11 novembre, dal suo ex fidanzato.
Ciò che è diverso per Giulia è il modo in cui la sua storia è entrata immediatamente nel cuore delle persone, contribuendo a costruire una consapevolezza diversa rispetto alla violenza di genere. Da subito Cecchettin ha preso parola dando dimensione collettiva al suo dolore, cercando di trasformarlo in qualcosa di positivo per gli altri, soprattutto per i giovani.
«I momenti vissuti insieme sono il mio tesoro. E nel ricordarla, nel ricostruire la nostra vita, sì, mi sono reso conto che tanti momenti sono sfuggiti via, ad esempio non ricordavo come fosse vestita quel maledetto sabato. Non ci rendiamo conto, soprattutto nelle quotidianità ordinaria, che viviamo col pilota automatico inserito. Così una giornata può scivolar via senza aver cercato un momento di valore in cui ti prendi tuo figlio o tua la figlia, tuo marito o tua moglie e ti dedichi totalmente a lui o lei. Me ne ero reso conto già un anno prima quando era morta mia moglie, lì avevo compreso il valore del tempo, di come la vita sia fugace. Oggi con i miei figli, Elena e Davide, cerco di vivere appieno ogni momento. Ad esempio quando ho Davide “a disposizione”, anche se sta facendo altro, se sta studiando io me lo guardo. Ho anche imparato a dirgli parole che non ho mai detto prima».
L’articolo completo, a cura di Anna Piuzzi, è pubblicato sul numero de La Vita Cattolica di mercoledì 23 ottobre.