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Giovani e fede. «L’oratorio mi manca, ma la Chiesa è distante». L’indagine

«Hanno portato i giovani a non cercare altro che il lusso e l’ozio, sia fisico sia morale, li hanno resi molli e pigri, incapaci di resistere ai dolori e ai piaceri». No, non sono parole di qualche moralista dei tempi odierni, ma espressioni scritte da Platone 2.500 anni fa. Riguardo ai giovani, fanno pensare che tutto il mondo è paese, a ogni latitudine e in ogni tempo. Ognuno, tra gli adulti, fa i conti con “i suoi”, di tempi. Ed ecco che il confronto è spesso impietoso, con le povere generazioni tacciate delle peggiori cose. Anche sulla fede: chi li vede più, in chiesa, i giovani? Gli stessi che riempiono gli oratori – e meno male! – sono al centro di malignità per le quali “si tirano indietro”, oppure “non vengono mai a Messa”, come se la liturgia fosse ancora oggi il punto di partenza di un’esperienza di fede. Non è più così, con buona pace di Platone. Perché i giovani ci sono, ma a modo loro. Si interrogano, ma spesso non trovano risposte. E i dati lo confermano: la recentissima indagine del CENSIS, commissionata dalla Conferenza Episcopale Italiana, riporta che nella fascia dai 18 ai 34 anni la percentuale di coloro che si dichiarano cattolici secondo varie “gradazioni” è del 58,3%, mentre i praticanti sarebbero il 10,9%. «Le percentuali delle nostre attività di ricerca sono più pessimiste» afferma Paola Bignardi, che mette subito in chiaro che il problema non è nei numeri, ma nelle risposte che i giovani trovano negli ambienti ecclesiali in cui, comunque, sono cresciuti.

Andando a scuola, studiando, mi sono reso conto che la religione non è in grado di darmi le risposte che cerco.
Ragazzo, 20 anni, centro Italia

Io non ho bisogno di trovare una spiegazione ulteriore nella religione, ma mi fermo, perché sono consapevole che l’uomo non è riuscito a trovare una spiegazione basata su dati scientifici. La fede quel muro l’abbatte, dà una risposta, ma in quella risposta io non ci credo.
Ragazzo, 29 anni, sud Italia

Secondo me di spirituale, a oggi, nella religione cristiana c’è ben poco. C’è tanta aziendalità e poca spiritualità, poca cura dello spirito quindi delle persone.
Ragazza, 26 anni, nord Italia

Paola Bignardi, molti giovani ricordano con piacere l’oratorio, le serate in Parrocchia, i campi estivi… ma oggi parlano della Chiesa come colei che “non ha mantenuto la promessa”. Di che promessa parlano?

«È la promessa di un’esperienza ecclesiale bella, coinvolgente, calda, capace di interpretare la domanda di vita dei giovani e capace di assumere le questioni esistenziali che i giovani si portano dentro. Questa promessa i giovani non la riconoscono mantenuta nel corso della loro crescita. Quelle promesse sono rimaste là, nei campi estivi e negli oratori e non hanno seguito le trasformazioni della loro relazione con la comunità, nelle sue forme e modalità.»

Quindi è venuto meno un accompagnamento da parte delle comunità?

«Non solo un accompagnamento, ma lo svelarsi di un luogo (la comunità cristiana) percepito in modo diverso che in passato.»

Lo scorso 31 ottobre si è chiusa la seconda sessione del Sinodo 2023-2024. In una lettera aperta ai padri sinodali, lei si è fatta portavoce dei giovani scrivendo loro: «Il vostro modo di pensare la vita era quello dei nostri nonni!». Quindi cosa cercano i giovani di oggi nella Chiesa?

«Vita, gioia, possibilità di realizzarsi, spiritualità, profondità. I giovani ritengono di non trovare tutto questo in Chiesa dalla mentalità ispirata al sacrificio e alla mortificazione, tipica di un passato lontano. Pensiamo ai “fioretti”… era il modo di pensare di una sensibilità religiosa e una società diverse. Oggi non è più possibile proporre questo modello di vita, che peraltro non corrisponde nemmeno a un Vangelo che propone una vita di gioia e di pienezza. Sono queste ultime le cose che cercano i giovani.»

È un rapporto che mi manca, l’oratorio, la vita comunitaria, ma al momento faccio fatica a credere a questa idea di fede. Mi piacerebbe tornare avendo delle figure di riferimento, qualcuno che mi reindirizzi senza costringermi, dire “se te la senti vieni a Messa” senza obblighi stringenti. Questo mi aiuterebbe.
Ragazza, 19 anni, nord Italia

Non mi sono più trovata bene nell’ambiente […] crescendo ho aperto gli occhi su diversi fattori, ho fatto molta più fatica a credere nella Chiesa come istituzione. La Chiesa per me è troppo materiale per incarnare il mio concetto di fede e di credere.
Ragazza, 22 anni, sud Italia

Spesso è facile aprire le porte, però poi dentro ci deve stare qualcosa, qualcuno, qualcosa di importante, che mi sappia ascoltare e mi sappia far vivere qualcosa. Non parlo naturalmente solo di preti, parlo sia di laici che di preti. Non parlo nemmeno solo di persone, parlo di realtà, cose su cui vivere.
Ragazzo, 29 anni, centro Italia

Nel 2023 c’è stata una Giornata mondiale della Gioventù, a Lisbona, con una partecipazione ben oltre le aspettative. Nel 2025 ci saranno ben due eventi giubilari dedicati espressamente ad adolescenti e giovani… I giovani sono chiusi in “reciniti”?

«Credo che questo sia un problema delle generazioni adulte. Se ai giovani si dedicano due giornate e poi ci si dimentica di loro, è chiaro che essi si sentano non visti, non riconosciuti, non valorizzati. E se ne vanno. C’è un gran bisogno da parte degli adulti di rivedere la propria posizione nei confronti dei giovani, a partire dalle forme di dialogo troppo ispirate al giudizio. I giovani non sono fotocopie dei loro genitori e nonni, ci mancherebbe. Chi ha responsabilità nei confronti dei giovani deve accogliere un modo diverso che sta venendo avanti, proteso verso il futuro. La generazione giovanile ha una funzione innovativa in tutte le società: se non ci fossero queste propensioni, saremmo inchiodati al nostro passato. Se i giovani hanno la funzione di far progredire la società, compresa la Chiesa, allora dobbiamo comprendere la mentalità che rappresentano, che non significa accoglierla in maniera acritica. Solo così finiamo di ghettizzarli e gli diciamo che fanno anche loro parte della comunità, non ne stanno alla periferia.»

Molti giovani allontanati dalla Chiesa stanno crescendo e “mettendo su famiglia”. Di conseguenza anche i bambini che frequentano le comunità, a partire dal Battesimo, sono sempre di meno. Che Chiesa si prospetta con tutti questi allontanamenti?

«Una Chiesa sempre più vecchia. Se non si affronta seriamente il dialogo con le nuove generazioni, il destino delle nostre comunità cristiane è segnato.»

Nei suoi scritti lei ha affermato che allontanarsi dalla Chiesa, dai suoi insegnamenti e strutture, può essere inteso come un “atto di amore”…

«Provocando la Chiesa a cambiare, i giovani dimostrano il loro interesse. Questo non è un atto di rifiuto, ma di delusione. E la delusione c’è in chi ha molto a cuore qualcosa. La delusione è quindi un segno di affetto, di un amore che talvolta non è realmente corrisposto.»

Ci sono stati momenti in cui facevo del volontariato, perché alla fine quello forse era il mondo in cui io mi sentivo, in particolare, di vivere anche la mia fede […] ma allo stesso tempo anche di divertirmi. È una cosa che mi ha sempre fatto stare bene.
Ragazza, 29 anni, nord Italia

Purtroppo se penso alla Chiesa collego quanto erano pesanti le Messe. Quindi lo ricordo come quell’ora di annientamento completo e non vedevo l’ora dell’ora successiva che appunto era in oratorio con gli amici o comunque con le attività, da animato e da animatore.
Ragazzo, 22 anni, nord Italia

Lei sarà a Udine il prossimo 20 novembre per una lectio magistralis sul tema «Dio in parole: linguaggi della fede e mondo giovanile». A proposito di linguaggi… quelli della Chiesa sono ancora compresi dai più giovani?

«No, ma facendo un sondaggio tra gli adulti secondo me pochi li comprendono, perché sono datati. Nella nostra ricerca (“Cerco, dunque credo?”, Vita e pensiero, 2024, ndr) abbiamo chiesto ai giovani di descrivere la Chiesa con alcuni aggettivi; il primo che hanno scelto è “vecchia”. La Chiesa è vecchia nella sua cultura e nei suoi linguaggi: questi ultimi sono espressioni della cultura, non si tratta di parole. Non serve fare traduzioni in linguaggio corrente, sarebbe una finzione. Se i giovani sentono che i linguaggi della Chiesa non comunicano più la vita, questo deve provocare le comunità cristiane a riproporre un pensiero robusto nelle comunità.»

Comunità spesso schiacciate sulle iniziative da proporre…

«Non servono tante iniziative “e basta”, bisogna tornare a pensare, a studiare, ad affrontare argomenti seri con altrettanta serietà. Un po’ per volta questa profondità culturale troverà la strada di esprimersi con linguaggi compresi dalla cultura di oggi.»

Spesso di questi argomenti non si parla nei percorsi di studio ecclesiali, tuttavia lei sarà a Udine proprio per inaugurare l’anno accademico degli istituti teologici interdiocesani. Quale messaggi per chi si occupa di formazione nella Chiesa?

«Il primo messaggio è mettersi in ascolto vero dei giovani. Non per raddrizzare quelle che riteniamo essere le loro storture, ma per lasciarci provocare da loro e dal loro desiderio spirituale. Hanno qualcosa di importante da dire a noi che spesso viviamo in una Chiesa situata in un tempo che non c’è più. Un secondo messaggio riguarda la cultura: bisogna ridare dignità al pensiero, alla lettura, alla riflessione, al dialogo, allo scambio, al confronto delle differenze nelle comunità. Questo spessore culturale poco a poco contribuirà a rinnovare le nostre comunità.»

Giovanni Lesa

 

Le citazioni sono tratte dalle testimonianze pubblicate su “Cerco, dunque credo? I giovani e una nuova spiritualità”, a cura di Rita Bichi e Paola Bignardi (Vita e pensiero, 2024)

 

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