Nei giorni scorsi, nel corso di un gruppo di lavoro svoltosi presso un ufficio di servizio sociale, a margine di un confronto sulla presa in carico di una richiesta di aiuto da parte di una giovane ventenne che, come tante altre ed altri, si trova in una situazione di difficoltà e disorientamento, sono stato colpito dalla frase di una collega: “Gli adolescenti, in fondo, hanno bisogno di contenimento”.
Mentre gli altri partecipanti all’incontro annuivano borbottando riferimenti all’attualità piuttosto che ai propri figli, spaesato, mi sono venuti alla mente alcuni dei giovani che ho incontrato negli anni trascorsi fra oratorio, lavoro educativo e impegno nella mia piccola comunità parrocchiale. Andrea e Sara sedicenni immersi nelle loro attività di studio, sport, teatro, volontariato. Francesco arrivato in comunità a 18 anni con solo una t-shirt, un paio di pantaloncini corti e un portatile attraverso il quale si è costruito un mondo a me sconosciuto. Io stesso che a quattordici anni mi butto a capofitto nella costruzione del grest e dell’oratorio. Li ho osservati e mi sono chiesto come si collochi il “bisogno di contenimento” in questi percorsi.
Riprendendo ora questa domanda, vedo quanto sia determinante per le storie degli adolescenti la presenza di occasioni di espressione, di campi da esplorare e coltivare, di spazi in cui sviluppare energie e creatività. Vedo anche come queste opportunità i giovani se le prendano fra ciò che viene messo loro a disposizione o fra ciò che trovano “libero” perché sottovalutato dagli “adulti” o dimenticato dalle comunità, reali o virtuali, che abitano. Vedo infine come nelle loro avventure trovino e cerchino qualcuno con cui misurarsi e confrontarsi, genitore, educatore, religioso o poliziotto che sia.
I bisogni che posso rintracciare in ciò che vedo sono innanzitutto un bisogno di esprimersi, di buttarsi nella vita, di sperimentare e dispiegare se stessi. In secondo luogo, un bisogno di riconoscere qualcuno con cui misurarsi, a cui riferirsi per rilanciare o differenziare le proprie esperienze. Per l’adulto che mi sembra di essere, questi bisogni da un lato mi arrivano come dimensioni positive di vita, anche gratificanti quando coincidono con le mie abitudini e le mie attese. Al tempo stesso mi inquietano se li applico a esperienze che mettono in dubbio il mio stile di vita o che minacciano i paletti che ho posto per stabilire la mia sicurezza.
Ecco che forse trova senso il “bisogno di contenimento” nominato dalla collega, ma non si tratta di un bisogno degli adolescenti. Il contenimento è ciò che serve a me adulto per proteggermi dall’energia del giovane che mi chiede uno spazio di vita e di misurarsi con me per poterlo far proprio.
Potrebbe essere che fare i conti con questo mio bisogno di contenimento e con la paura che lo sottintende, sia la premessa necessaria affinché io possa essere un adulto capace di stare in relazione i giovani che incontro e, ancora di più, partecipe di una comunità di adulti che sa mettere a disposizione dei suoi giovani spazi di vita in cui sperimentarsi e aprirsi, oltre ai bisogni da soddisfare, alla possibilità di desiderare.
Raffaele Fabris
Referente di Casa Betania