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L'editoriale

Giù le mani da Montenars

di

Roberto Pensa

Se indìco un referendum per la fusione di due comuni, uno grande e uno molto piccolo, non posso pensare di mettere tutte le schede in un’unica urna e di contare i “sì” e i “no”. Fatalmente, i cittadini del piccolo comune non conterebbero nulla, e a decidere sarebbero solo i residenti nell’ente più grande. Detta così, si tratta di un ragionamento elementare, ma è proprio quello che sta accadendo tra Gemona del Friuli e Montenars dopo il voto di domenica 6 novembre. A Gemona hanno trionfato i “sì” con l’81,55%. A Montenars hanno trionfato i “no” con il 68,61%. Secondo la legge regionale vale solo il “sì” dei gemonesi, mentre il “no” dei piccoli vicini non conta nulla. Urge un sussulto di democrazia. Per rendere effettiva la fusione occorre una legge del Consiglio regionale. Le forze politiche si mettano una mano sulla coscienza e rispettino i cittadini. Anche quelli dei piccoli comuni.

Quanto «meglio sarebbe se i voti si potessero pesare, anziché contare», sentenziò lo scrittore tedesco Georg Lichtenberg, celebre per i suoi aforismi. In generale, non applicare la sacra regola democratica «una testa, un voto», sarebbe un’inaccettabile violazione del principio di uguaglianza, ma c’è una comprensibile eccezione. Se indìco un referendum per la fusione di due comuni, uno grande e uno molto piccolo, non posso pensare di mettere tutte le schede in un’unica urna e di contare i “sì” e i “no”. Fatalmente, i cittadini del piccolo comune non conterebbero nulla, e a decidere sarebbero solo i residenti nell’ente più grande.
Detta così, si tratta di un ragionamento elementare, ma è proprio quello che sta accadendo tra Gemona del Friuli e Montenars dopo il voto di domenica 6 novembre.

A Gemona hanno trionfato i “sì” con l’81,55%. A Montenars hanno trionfato i “no” con il 68,61%. Secondo la legge regionale vale solo il “sì” dei gemonesi, mentre il “no” dei piccoli vicini non conta nulla.
Al principio non era così, e nel referendum in ogni comune doveva vincere il “sì” perché si procedesse con la fusione. Poi la piccola comunità di S. Martino al Tagliamento nel 2013 osò dire no alla fusione con Valvasone e Arzene. La giunta regionale, infastidita, decise allora che avrebbe contato solo il computo complessivo dei voti in tutti i comuni interessati alla fusione. Ci fu giustamente l’altolà da parte dei Comuni e non solo. Anche «la Vita Cattolica» si oppose a questa eutanasia delle piccole comunità imposta per legge, con un editoriale intitolato «Pesce grande mangia pesce piccolo» (13 febbraio 2014).
La legge fu allora emendata. Si sarebbe continuato a fare il computo complessivo dei voti, ma se il consiglio comunale di un comune avesse votato contro il progetto di fusione, sarebbe stato vincolante il risultato in ciascun comune. Tale mediazione passò, non senza la protesta dei piccoli comuni (nel Consiglio delle autonomie le diede voce il sindaco di Ragogna di allora, Mirco Daffarra). Aveva ragione, e l’assurdità di quella norma ora è evidente proprio nel caso della fusione Gemona-Montenars.

È vero che il consiglio comunale del piccolo comune montano ha detto sì al progetto di fusione, ma esso non era contenuto nel programma elettorale della maggioranza. Sacrosanto quindi che una scelta del genere spetti al popolo. Inoltre, più che una fusione, in questo caso si tratta di una incorporazione, visto che il nuovo comune si chiamerebbe solamente Gemona del Friuli e Montenars sparirebbe del tutto dalla geografia amministrativa.

C’è poi un’altra circostanza, quasi una nemesi storica: Montenars è la patria di Pre Checo Placereani, il profeta dell’autonomismo friulano. Ledere proprio qui il principio dell’autonomia (che è anche autodeterminazione specie nelle decisioni fondamentali della vita della comunità) appare una vera e propria profanazione.

Urge un sussulto di democrazia. Per rendere effettiva la fusione occorre una legge del Consiglio regionale. Le forze politiche si mettano una mano sulla coscienza e rispettino i cittadini. Anche quelli dei piccoli comuni.
Roberto Pensa

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