Il Rapporto degli Italiani nel Mondo (RIM), promosso e curato dalla Fondazione Migrantes, organismo della Conferenza Episcopale Italiana, non è solo una raccolta di dati e di variazioni statistiche annuali, ma un osservatorio privilegiato per comprendere a pieno la mobilità degli italiani all’estero, i rimpatri e le migrazioni interne.
Il filo conduttore del rapporto di quest’anno è dato dal tema sulla cittadinanza (molti emigranti hanno più cittadinanze) e di come vengono vissute in Italia e all’estero. Il tutto in un’ottica legata alla visione della Chiesa italiana sulle questioni migratorie, in un Paese sempre più terra di migrazioni, dal quale sono partiti per l’estero molti connazionali, in numero consistente anche negli ultimi quindici anni, durante i quali sono arrivati da noi 5 milioni di immigrati, provenienti soprattutto dal Terzo Mondo. Parte di essi, sia connazionali all’estero così come molti immigrati in Italia, non possiedono la cittadinanza del Paese in cui vivono, laddove sono nati, studiano o lavorano.
Bisogna, quindi, educare i migranti e gli autoctoni alla cittadinanza, indirizzandola verso il bene comune, superando una enfatizzante difesa dell’identità, riaffermando invece l’universalità di taluni diritti, senza i quali i migranti si sentono esclusi ed estranei. Mons. Giancarlo Perego, presidente della Migrantes, a tal proposito ha affermato che la mobilità umana va governata con lungimiranza e non negata e fermata, perché se abbandonata a se stessa diventa fonte di precarietà, povertà, violenza e solitudine.
L’unica Italia che cresce è fuori dai confini
Il RIM nelle sue analisi statistiche si basa principalmente su dati AIRE Anagrafe Italiani Residenti all’Estero). In primo luogo va rilevato come in circa vent’anni gli emigranti italiani sono passati da tre milioni agli oltre sei milioni del 2024. Questa crescita è dovuta soprattutto alle nascite all’estero, all’acquisizione della cittadinanza con le modalità dello ius sanguinis per gli italodiscendenti e per gli immigrati che sono diventati italiani, per poi trasferiti all’estero. Attorno all’acquisizione della cittadinanza da parte degli immigrati si è recentemente aperto un acceso dibattito nella nostra politica nazionale per sollecitare l’introduzione dello ius scholae o dello ius culturae, per abbreviare i tempi necessari ad ottenere tale riconoscimento.
L’aumento degli iscritti all’AIRE è dovuto anche al nuovo regime sanzionatorio previsto dalla legge 213 del 2023, che prevede la doppia tassazione dei redditi per coloro che non si cancellano dall’anagrafe dei residenti in Italia. Tuttavia, preme sottolineare come la nostra emigrazione dal 2006 al 2024 sia aumentata quasi del 100% e che ad ogni dieci residenti in Italia c’è un connazionale all’estero, mentre i residenti in Italia sono diminuiti nello stesso periodo di 625 mila unità. Dunque, l’unica Italia che cresce è quella che vive fuori dai nostri confini.
Metà degli espatriati nel 2022 (dati ISTAT) ha 25-34 anni ed è in possesso di laurea; nel 2012 i laureati erano solo il 30%. Nel 2023 sono andati all’estero 89.462 italiani, circa 6 mila più dell’anno precedente, consolidando la ripresa post pandemica (precedentemente emigravano 130 mila l’anno) e la destinazione prevalente è quella dell’Europa. Emigrano in maniera paritaria giovani uomini e donne e non mancano anche adulti a seguito dei propri figli o pensionati che si trasferiscono dove la loro pensione permette di vivere meglio. L’emigrazione italiana – una specie di ascensore sociale, per i giovani – non presenta una circolarità tale da far rientrare un numero apprezzabile di nostri espatriati o di far arrivare da noi altri lavoratori stranieri qualificati.
Il numero complessivo dei cittadini con passaporto italiano residenti all’estero è di 6 milioni 134 mila unità; (45,8% del SUD, il 38% del NORD e il 15.7 del CENTRO). Vivono prevalentemente in Argentina (952 mila); Germania (832 mila); Svizzera (639 mila); Brasile (612 mila); Regno Unito (475 mila); Francia (470 mila); Stati Uniti (321 mila); Belgio (281 mila); Spagna (256 mila) Australia (160 mila); Canada (144 mila); Uruguay e Venezuela (113 mila ciascuno). Seguono altri Paesi con meno di 100 mila emigranti, mentre il totale corrisponde al 54,2% in Europa, al 40,6% nelle Americhe, al 2,7% dell’Oceania, Asia con l’1,3 e Africa 1,1%. Un’ulteriore forma di emigrazione è quella interna, che vede migliaia di giovani trasferirsi per motivi di lavoro dal Sud Italia verso il Nord e dalla montagna alla pianura (532 mila in 10 anni – contro 164 mila di percorso inverso – con un saldo negativo di 368 mila giovani), rendendo disabitati molti borghi già parzialmente spopolati, impoverendoli così dei servizi essenziali. I rimpatri dall’estero, con saldo migratorio annuo evidentemente negativo, si quantificano in circa 50 mila l’anno (70 mila, prima del Covid).
Friuli-V.G.: 204 mila iscritti all’Aire
Per quanto riguarda infine il nostro territorio regionale, il RIM precisa che gli iscritti all’AIRE sono 204.401 (2.150 in più rispetto al 2022), pari al 17,1% della popolazione residente (1.195.792). La provincia Udine ha 89.188 espatriati, Pordenone 62.877, Trieste 37.220 compresi gli italiani autoctoni che vivono in Croazia, Gorizia 15.116. La distribuzione della nostra emigrazione nel mondo vede al primo posto l’Unione Europea compreso UK (83.235), per passare all’America Latina (71.548), l’America del Nord (13.323). Come singolo paese, l’Argentina ha il primato (43.386) davanti a Francia (17.426), Svizzera (17.248), Brasile (14.904), Croazia (12.916), Germania (13.362). Regno Unito (11.639), Belgio (8.456) e via a seguire. I Comuni con più iscritti, escluso Trieste per l’eccezione di cui sopra, sono Udine (8.560), Pordenone (5.354), Gorizia (4.435), Gemona del Friuli (3.678), Caneva (3.427), Cordenons (3.152), Monfalcone (3.072), Sacile (3.003). Drenchia ha più emigranti (212) che residenti (101), mentre Frisanco, Vito d’Asio e Forgaria hanno all’estero più di mille connazionali ciascuno. Questi dati sono destinati ad aumentare per il FVG, terra confinante con il Centro Europa, a seguito dell’obbligo di iscriversi all’Aire dopo un anno di permanenza all’estero.
Luigi Papais