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Grado e Marano. Pescatori e venditori di pesce, mercurio nei loro capelli. Parla l’esperto

Nei loro capelli sono state rilevate concentrazioni di mercurio superiori – seppur di poco – al limite raccomandato dall’Oms, l’Organizzazione mondiale della sanità, ma comunque inferiori ai livelli in cui sono stati osservati effetti avversi alla salute.

A risultare contaminati sono i pescatori e i lavoratori dell’indotto della pesca – i venditori e pure i ristoratori – della laguna di Grado e Marano, oggetto di uno studio condotto dall’Università di Trieste, in collaborazione con l’Ateneo di Padova.

È un allarme di cui tener conto, ma che suona – fortunatamente – a metà, come ha illustrato a Radio Spazio Luca Cegolon, docente universitario e dirigente medico epidemiologo dell’AsuGi, l’Azienda sanitaria universitaria Giuliano Isontina. È l’esperto che ha condotto l’indagine – i cui risultati sono stati da poco pubblicati sulla prestigiosa rivista scientifica internazionale “Science of the Total Environment” – insieme ai colleghi Giuseppe Mastrangelo, dell’Università di Padova, ai gruppi di ricerca MercurRILab dell’Ateneo triestino, diretto da Stefano Covelli e all’Unità clinica operativa di Medicina del lavoro, sempre dell’Università di Trieste, diretta da Francesca Larese Filon.

«Lo studio riflette la presenza del metallo in laguna, ma a livelli in cui non sono ancora stati rilevati effetti avversi evidenti sulla salute umana. L’esposizione cronica al mercurio nel lungo termine può, infatti, far rilevare qualche effetto neurotossico, ovvero un possibile aumento di rischio di malattie parkinsoniane, e forme di decadimento cognitivo. Di fronte a questi rischi è dunque raccomandabile che donne in gravidanza e bambini in fase di crescita limitino il consumo di pesce fresco».

Nei dettagli, l’indagine – condotta nei primi mesi del 2024 – ha messo a confronto il mercurio rilevato nei capelli di 73 pescatori (32 di mare aperto, 30 di laguna e 11 misti) e di 83 residenti locali (lavoratori nell’indotto della pesca), ovvero persone che solitamente in tavola hanno spesso pesce, comunque in misura maggiore rispetto alla popolazione generale, con 93 abitanti di una zona montana del Bellunese dediti all’agricoltura o che operano in malga. E, dunque, poco abituati a pranzi e cene a base di pesce.

La zona oggetto dello studio non è stata scelta a caso, ha spiegato Cegolon, «in quanto in quest’area c’è una storia di documentata di contaminazione da mercurio». L’una plurisecolare: la miniera Idria in Slovenia, attiva per 500 anni (chiusa nel ’95) e secondo deposito più grande al mondo dopo Almaden in Spagna, ha riversato per secoli mercurio di origine minerale, sotto forma di cinabro, nel fiume Isonzo (in corrispondenza della foce studi precedenti avevano rilevato concentrazioni nei sedimenti fino a 11 mg/kg rispetto agli 0.7 mg/kg nel settore occidentale della laguna). La contaminazione della laguna, vicino al settore che comprende la foce dell’Aussa Corno, invece, deriva dall’area industriale di Torviscosa che «in modo incontrollato ha riversato mercurio nel corso d’acqua».

La ricerca, prima ad aver valutato la ricaduta di questa contaminazione ambientale sull’uomo, ha messo in evidenza che il mercurio rilevato nei pescatori (2.56 mg/kg) e nei venditori ittici e ristoratori (2.31 mg/kg) è superiore a chi abita in montagna (0.58 mg/kg), andando in aumento col consumo di pesce locale, in particolare quello fresco.

«La situazione attuale – ha chiarito però Cegolon – si può considerare di relativo equilibrio». Dunque, concordano gli studiosi, non ci sono controindicazioni al consumo di pesce della laguna (a parte in bambini e donne in gravidanza). «Pesce che, comunque, veicola anche il selenio, elemento chimico con azione antagonista al mercurio».

Monika Pascolo e Valentina Pagani

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